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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza Italia / Abusi di posizione dominante e settore dell’energia – L’AGCM sanziona Enel e Acea per abuso di posizione dominante volto ad ostacolare il processo di liberalizzazione della vendita di energia elettrica, mentre “assolve” A2A
Lo scorso 8 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso noto di aver sanzionato per oltre 93 milioni di euro il Gruppo Enel e per oltre 16 milioni di euro il Gruppo Acea per abuso di posizione dominante realizzato nei mercati della vendita di energia elettrica in cui tali operatori offrono il servizio pubblico di maggior tutela, destinato a venir meno a partire dal 1° luglio 2020. Al contrario, nessuna infrazione su tali mercati è stata accertata dall’AGCM nei confronti del Gruppo A2A, anch’esso assoggettato in parallelo ad un analogo procedimento istruttorio.
Più nello specifico, nel maggio 2017 l’AGCM aveva avviato tre procedimenti paralleli nei confronti dei Gruppi Enel, Acea e A2A ipotizzando la violazione del divieto di abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE), contestando a tali operatori di aver sfruttato illegittimamente prerogative e asset derivanti dall’essere fornitori del servizio di maggior tutela allo scopo di favorire il “traghettamento” di tali clienti riforniti in tale regime verso contratti offerti sul mercato libero (si veda la nostra Newsletter del 15 maggio 2017).
All’esito dei procedimenti in commento, l’AGCM ha accertato la sussistenza di un abuso di posizione dominante da parte di Enel e Acea, i quali, nelle aree in cui svolgono in esclusiva il servizio di maggior tutela, avrebbero proceduto alla raccolta dei consensi al trattamento dei dati personali da parte dei clienti riforniti in maggior tutela per poter essere contattati a scopi commerciali e successivamente impiegato tali liste anagrafiche di clienti che avevano dato il consenso per formulare offerte mirate, volte alla stipulazione di contratti sul mercato libero. Tali liste di contatti sono state considerate dall’AGCM come un asset strategico, non replicabile da parte degli altri concorrenti non verticalmente integrati, che avrebbero permesso alle società dei gruppi Enel e Acea operanti nella vendita di energia elettrica sul mercato libero di “…individuare precisamente e senza margine di errore chi fossero i clienti ancora in MT [maggior tutela], informazione non pubblicamente disponibile…”. Secondo l’AGCM, “…rispetto a ogni altra lista di fonte terza reperibile sul mercato, infatti, la crucialità dei dati […] è data proprio dall’informazione aggiuntiva e “intrinseca” che un dato contatto contenuto in tali liste è in grado di fornire, ovvero la circostanza che quell’utente è un cliente elettrico servito ancora in maggior tutela da parte del gruppo…”. Lo sfruttamento esclusivo di tali dati da parte di Enel e Acea è stato quindi ritenuto abusivo da parte dell’AGCM e idoneo ad amplificare artificialmente il vantaggio concorrenziale di cui tali gruppi godono per motivi storico/regolamentari e legati alle caratteristiche di una domanda, costituita dai clienti “tutelati” che dovranno passare al mercato libero, da sempre restii ad operare tale switching.
Inoltre, nel caso del gruppo Acea, l’AGCM ha altresì accertato un ulteriore profilo di illiceità, rappresentato dalla circostanza che Acea Energia (impegnata nella vendita di energia elettrica ai clienti finali) si sarebbe avvalsa, nella definizione delle proprie strategie commerciali, di una serie di informazioni privilegiate e dettagliate sull’andamento delle quote e sul posizionamento dei concorrenti nelle aree geografiche in cui il gruppo Acea svolge in via esclusiva il servizio di distribuzione, fornito dalla società di distribuzione del gruppo, ARETI S.p.A..
Per quanto riguarda il gruppo Enel, l’AGCM non ha invece ritenuto fondata la contestazione, originariamente mossa in sede di avvio del procedimento, circa l’abusività delle condotte poste in essere da tale operatore con riferimento alla organizzazione e svolgimento delle attività di vendita di energia elettrica all’interno dei punti fisici sul territorio, in considerazione della separazione funzionale tra i dipendenti operanti nella maggior tutela e nel mercato libero, e alle politiche di winback praticate da Enel e denunciate da Green Network.
Particolarmente interessanti sono poi le modalità di calcolo delle sanzioni seguite dall’AGCM, la quale ha in primo luogo deciso di accordare ad Enel una riduzione del 10% a titolo di attenuante in considerazione del programma di compliance antitrust adottato dal gruppo già nel 2005, in particolare alla luce dei miglioramenti apportati successivamente (ma prima dell’avvio dell’istruttoria) che, sempre a giudizio dell’AGCM, “…indicano una solida determinazione verso un controllo di legittimità delle condotte del gruppo sotto il profilo antitrust, utilizzando strumenti efficaci per raggiungere tale obiettivo…”, quali ad es. meccanismi di whistleblowing¸ previsioni di coinvolgimento obbligatorio dell’Unità antitrust del gruppo, e il monitoraggio discrezionale da parte di questa sull’attività delle diverse Business Unit.
Inoltre, degno di nota, e verosimilmente indicativo di un nuovo trend, l’AGCM, pur includendo nel fatturato rilevante delle Parti ai fini del calcolo della sanzione le vendite di energia elettrica realizzate sia nel segmento della maggiore tutela, sia in quello del mercato libero, ha tuttavia applicato a favore sia di Enel sia di Acea una riduzione discrezionale rispettivamente del 62% e 72% dell’ammontare della sanzione in funzione delle vendite realizzate da tali gruppi nel settore della maggiore tutela, considerando che gli effetti restrittivi ed escludenti dell’abuso contestato si sarebbero prodotti nel (solo) segmento di mercato libero.
L’AGCM non ha invece accertato alcuna condotta abusiva da parte di A2A, la quale, pur avendo costituito un unico database di marketing contenente le informazioni relative sia ai clienti in maggior tutela, sia a quelli sul mercato libero, ha tuttavia dimostrato di non aver sfruttato l’asset strategico relativo ai dati sui clienti “tutelati” per formulare a questi offerte mirate, utilizzando invece quelli dei propri “clienti gas” situati nelle aree in cui A2A esercita la maggior tutela elettrica. In particolare, A2A ha sostenuto di aver estratto dal suddetto database i dati dei soli clienti gas situati nei comuni e nelle zone limitrofe di Milano e Brescia in cui esercita la maggiore tutela elettrica, dei quali deteneva il consenso ad essere ricontattati a fini commerciali, “…sul presupposto…”, condiviso dall’AGCM, “…di poter legittimamente utilizzare tale database, in quanto riguardante clientela della società in un mercato [quello della distribuzione e vendita di gas] in cui la stessa non detiene alcuna posizione dominante…”. In tal modo, A2A avrebbe potuto raggiungere circa il 60% dei propri clienti elettrici forniti in maggiore tutela, fruendo della sovrapposizione quasi totale delle aree territoriali della distribuzione elettrica e di quella del gas, senza tuttavia commettere alcun abuso.
Si attendono ora gli sviluppi legati alle impugnative innanzi al giudice amministrativo che sono già state annunciate dalle imprese sanzionate.
Martina Bischetti
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Più nello specifico, nel maggio 2017 l’AGCM aveva avviato tre procedimenti paralleli nei confronti dei Gruppi Enel, Acea e A2A ipotizzando la violazione del divieto di abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE), contestando a tali operatori di aver sfruttato illegittimamente prerogative e asset derivanti dall’essere fornitori del servizio di maggior tutela allo scopo di favorire il “traghettamento” di tali clienti riforniti in tale regime verso contratti offerti sul mercato libero (si veda la nostra Newsletter del 15 maggio 2017).
All’esito dei procedimenti in commento, l’AGCM ha accertato la sussistenza di un abuso di posizione dominante da parte di Enel e Acea, i quali, nelle aree in cui svolgono in esclusiva il servizio di maggior tutela, avrebbero proceduto alla raccolta dei consensi al trattamento dei dati personali da parte dei clienti riforniti in maggior tutela per poter essere contattati a scopi commerciali e successivamente impiegato tali liste anagrafiche di clienti che avevano dato il consenso per formulare offerte mirate, volte alla stipulazione di contratti sul mercato libero. Tali liste di contatti sono state considerate dall’AGCM come un asset strategico, non replicabile da parte degli altri concorrenti non verticalmente integrati, che avrebbero permesso alle società dei gruppi Enel e Acea operanti nella vendita di energia elettrica sul mercato libero di “…individuare precisamente e senza margine di errore chi fossero i clienti ancora in MT [maggior tutela], informazione non pubblicamente disponibile…”. Secondo l’AGCM, “…rispetto a ogni altra lista di fonte terza reperibile sul mercato, infatti, la crucialità dei dati […] è data proprio dall’informazione aggiuntiva e “intrinseca” che un dato contatto contenuto in tali liste è in grado di fornire, ovvero la circostanza che quell’utente è un cliente elettrico servito ancora in maggior tutela da parte del gruppo…”. Lo sfruttamento esclusivo di tali dati da parte di Enel e Acea è stato quindi ritenuto abusivo da parte dell’AGCM e idoneo ad amplificare artificialmente il vantaggio concorrenziale di cui tali gruppi godono per motivi storico/regolamentari e legati alle caratteristiche di una domanda, costituita dai clienti “tutelati” che dovranno passare al mercato libero, da sempre restii ad operare tale switching.
Inoltre, nel caso del gruppo Acea, l’AGCM ha altresì accertato un ulteriore profilo di illiceità, rappresentato dalla circostanza che Acea Energia (impegnata nella vendita di energia elettrica ai clienti finali) si sarebbe avvalsa, nella definizione delle proprie strategie commerciali, di una serie di informazioni privilegiate e dettagliate sull’andamento delle quote e sul posizionamento dei concorrenti nelle aree geografiche in cui il gruppo Acea svolge in via esclusiva il servizio di distribuzione, fornito dalla società di distribuzione del gruppo, ARETI S.p.A..
Per quanto riguarda il gruppo Enel, l’AGCM non ha invece ritenuto fondata la contestazione, originariamente mossa in sede di avvio del procedimento, circa l’abusività delle condotte poste in essere da tale operatore con riferimento alla organizzazione e svolgimento delle attività di vendita di energia elettrica all’interno dei punti fisici sul territorio, in considerazione della separazione funzionale tra i dipendenti operanti nella maggior tutela e nel mercato libero, e alle politiche di winback praticate da Enel e denunciate da Green Network.
Particolarmente interessanti sono poi le modalità di calcolo delle sanzioni seguite dall’AGCM, la quale ha in primo luogo deciso di accordare ad Enel una riduzione del 10% a titolo di attenuante in considerazione del programma di compliance antitrust adottato dal gruppo già nel 2005, in particolare alla luce dei miglioramenti apportati successivamente (ma prima dell’avvio dell’istruttoria) che, sempre a giudizio dell’AGCM, “…indicano una solida determinazione verso un controllo di legittimità delle condotte del gruppo sotto il profilo antitrust, utilizzando strumenti efficaci per raggiungere tale obiettivo…”, quali ad es. meccanismi di whistleblowing¸ previsioni di coinvolgimento obbligatorio dell’Unità antitrust del gruppo, e il monitoraggio discrezionale da parte di questa sull’attività delle diverse Business Unit.
Inoltre, degno di nota, e verosimilmente indicativo di un nuovo trend, l’AGCM, pur includendo nel fatturato rilevante delle Parti ai fini del calcolo della sanzione le vendite di energia elettrica realizzate sia nel segmento della maggiore tutela, sia in quello del mercato libero, ha tuttavia applicato a favore sia di Enel sia di Acea una riduzione discrezionale rispettivamente del 62% e 72% dell’ammontare della sanzione in funzione delle vendite realizzate da tali gruppi nel settore della maggiore tutela, considerando che gli effetti restrittivi ed escludenti dell’abuso contestato si sarebbero prodotti nel (solo) segmento di mercato libero.
L’AGCM non ha invece accertato alcuna condotta abusiva da parte di A2A, la quale, pur avendo costituito un unico database di marketing contenente le informazioni relative sia ai clienti in maggior tutela, sia a quelli sul mercato libero, ha tuttavia dimostrato di non aver sfruttato l’asset strategico relativo ai dati sui clienti “tutelati” per formulare a questi offerte mirate, utilizzando invece quelli dei propri “clienti gas” situati nelle aree in cui A2A esercita la maggior tutela elettrica. In particolare, A2A ha sostenuto di aver estratto dal suddetto database i dati dei soli clienti gas situati nei comuni e nelle zone limitrofe di Milano e Brescia in cui esercita la maggiore tutela elettrica, dei quali deteneva il consenso ad essere ricontattati a fini commerciali, “…sul presupposto…”, condiviso dall’AGCM, “…di poter legittimamente utilizzare tale database, in quanto riguardante clientela della società in un mercato [quello della distribuzione e vendita di gas] in cui la stessa non detiene alcuna posizione dominante…”. In tal modo, A2A avrebbe potuto raggiungere circa il 60% dei propri clienti elettrici forniti in maggiore tutela, fruendo della sovrapposizione quasi totale delle aree territoriali della distribuzione elettrica e di quella del gas, senza tuttavia commettere alcun abuso.
Si attendono ora gli sviluppi legati alle impugnative innanzi al giudice amministrativo che sono già state annunciate dalle imprese sanzionate.
Martina Bischetti
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Intese e settore dei finanziamenti auto – L’AGCM sanziona per più di 670 milioni di euro le principali captive banks e i relativi gruppi automobilistici di appartenenza
Con la decisione pubblicata il 9 gennaio scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato, per un importo complessivo superiore ai 670 milioni di euro, Banca PSA Italia S.p.A., BMW Bank GmbH, Mercedes Benz Financial Services Italia S.p.A., FCA Bank S.p.A., FCE Bank Plc., General Motor Financial Italia S.p.A., RCI Banque S.A., Toyota Financial Services Plc., Volkswagen Bank GmbH, (le Captive Banks), Banque PSA Finance S.A., Santander Consumer Bank S.p.A., CA Consumer Finance S.A. BMW AG, Daimler AG, FCA Italy S.p.A., Ford Motor Company, General Motors Company, Renault S.A., Toyota Motor Corporation, Volkswagen AG. (le Capogruppo), nonché le associazioni di categoria Assofin ed Assilea (insieme alle Captive Banks e le Capogruppo, le Parti), per aver posto in essere un’asserita intesa restrittiva della concorrenza tra il 2003 e il 2017.
Il procedimento era stato avviato a seguito di una domanda di clemenza da parte delle società Daimler AG e Mercedes Benz Financial Services Italia S.p.A., la quale ha beneficiato così dell’immunità dalla sanzione. Le Captive Banks operano nell’erogazione di prodotti finanziari (credito al consumo e leasing finanziario) finalizzati alla vendita delle automobili prodotte dai relativi gruppi di appartenenza.
Secondo l’AGCM, le Captive Banks avrebbero condiviso (tra il 2003 e il 2017) informazioni disaggregate, attuali e prospettiche, non pubbliche, concernenti prezzi (tra cui, ad esempio, TAN e TAEG, spese di istruttoria e di aperture pratica) e quantità (volumi di vendita), nonché altre questioni specifiche in merito ad argomenti di volta in volta rilevanti per la determinazione delle varie politiche commerciali. Tale concertazione si sarebbe svolta altresì attraverso le associazioni di categoria Assofin e Assilea, le quali avrebbero veicolato della reportistica contenente informazioni relative a prezzi e quantità nell’ambito della loro attività associativa.
Secondo l’AGCM, questo scambio di informazioni, anche considerando l’intensità con il quale sarebbe avvenuto, la tipologia delle informazioni condivise ed il contesto di mercato, sarebbe stato idoneo ad eliminare qualsiasi incertezza in merito alla determinazione della strategia commerciale di ciascuna delle società coinvolte. L’AGCM ha definito l’(asserita) intesa di natura segreta, restrittiva della concorrenza per oggetto e molto grave.
L’AGCM ha ritenuto che le condotte sopra descritte sarebbero imputabili anche alle società capogruppo delle Captive Banks (ossia, nella maggior parte dei casi, le società madri dei gruppi automobilistici di appartenenza) in quanto “…costituiscono con le rispettive captive bank un’unica entità economica ai fini dell’applicazione delle norme antitrust…”.
Nella decisione in commento, l’AGCM ha disatteso, senza entrare particolarmente nel merito, tutte le argomentazioni difensive delle Parti. In particolare, le Parti avevano sottolineato come non vi fosse in realtà alcun tipo di rapporto di concorrenza tra le Captive Banks. Infatti, secondo la tesi difensiva, le Captive Banks opererebbero esclusivamente a favore delle auto del gruppo di appartenenza, tramite la rete di concessionari convenzionati. In altre parole, le Captive Banks subiscono la concorrenza delle finanziarie indipendenti nell’ambio dei finanziamenti da offrire al consumatore che ha scelto la vettura del marchio del gruppo di appartenenza mentre non sono in concorrenza con le altre banche captive proprio in quanto la loro attività è limitata esclusivamente all’offerta di finanziamenti per le autovetture prodotte dalla casa madre.
L’AGCM non ha accolto tale difesa, sostenendo che l’attività di tali banche sarebbe una leva di marketing del costruttore per la vendita delle auto del relativo gruppo di appartenenza. Secondo l’AGCM, il finanziamento rivestirebbe un ruolo decisivo nella scelta delle varie auto (per un consumatore price sensitive “…il prodotto finanziario, sotto forma di rata mensile, coincide con il prezzo finale dell’auto…”) e, di conseguenza, le Captive Banks operano al fine di esercitare un impatto diretto sulle vendite delle auto dei relativi gruppi automobilistici. L’AGCM non sembra tuttavia aver fornito una risposta alle numerose evidenze empiriche (tra cui studi di mercato aventi ad oggetto i comportamenti dei consumatori nell’acquisto di auto) presentate dalle Parti, che mostravano come i finanziamenti sono in realtà del tutto inidonei a influenzare in maniera determinante il consumatore nella scelta dell’automobile da acquistare.
Appare invero quantomeno discutibile la definizione del mercato rilevante adottata dall’AGCM, che ha qualificato come mercato rilevante non quello dei prodotti finanziari commercializzati dalle Captive Banks bensì quello “…della vendita di auto attraverso finanziamenti erogati dalle captive banks…”, pur in assenza di alcuna evidenza circa il coinvolgimento nelle condotte contestate delle case produttrici di automobili.
Come riconosciuto dalla stessa AGCM, le Parti avevano inoltre evidenziato, alla luce dei risultati dell’analisi economica condotta da una società di consulenza economica, l’elevato grado di dispersione delle offerte praticate dalle Captive Banks, che dimostrerebbe quindi l’assenza di effetti dell’(asserita) intesa in termini di coordinamento dei prezzi dei finanziamenti offerti. Sul punto, l’AGCM, respingendo tale argomentazione, ha evidenziato che, a suo avviso, ciò sia “…inconferente rispetto al caso in esame…”, in quanto l’oggetto dell’asserita intesa non era quello di omogeneizzare i prezzi applicati ai consumatori finali, ma “…condividere informazioni necessaria a conoscere gli elementi alla base delle politiche commerciali dei propri concorrenti…”.
Infine, l’AGCM ha respinto le argomentazioni delle Capogruppo, fondate soprattutto sulla presenza di vincoli regolamentari derivanti dalla normativa bancaria, volte ad escludere l’imputazione alle stesse delle condotte assunte dalle Captive Banks. L’AGCM, in linea con la giurisprudenza comunitaria, aveva infatti esteso il procedimento alle Capogruppo solo sulla base della presunzione di c.d. parental liability (fondata sul fatto che le controllanti detenessero la totalità o la quasi totalità del capitale delle controllate), data l’assenza di alcuna evidenza che dimostrasse la partecipazione delle prime all’infrazione. L’applicazione pura della c.d. giurisprudenza Azko avrebbe rappresentato, a detta delle Parti, un importante discostamento dalla (costante) prassi in materia dell’AGCM, la quale solitamente aveva sempre imputato la parental liability in presenza di ulteriori elementi rivelanti una qualche forma di coinvolgimento nell’intesa in rilievo, rispetto alla mera detenzione dell’intero capitale sociale.
L’effettivo esercizio di un’influenza determinante da parte della controllante sulla controllata è stata dimostrato anche con riguardo a quelle Capogruppo che detenevano quote largamente inferiori al totale del capitale sociale della società controllata direttamente responsabile dell’asserita infrazione. Tuttavia, l’AGCM ha riconosciuto – in questo caso – che si trattava di un elemento di novità rispetto alla prassi applicativa della stessa, e in sede di quantificazione della sanzione non ha imposto il pagamento della sanzione in solido con le proprie controllate.
Con riguardo alla determinazione della sanzione, l’AGCM ha applicato al fatturato rilevante un coefficiente di gravità pari al 4%, riconoscendo altresì una circostanza attenuante nella misura del 10% per quelle Parti che avevano adottato un programma di compliance. Infine (in linea con quanto ha fatto nei casi Enel/Acea commentati in questa Newsletter) è stata applicata una riduzione dell’80%, ai sensi dell’art. 34 delle Linee Guida sulla determinazione della sanzione, “…al fine di commisurare la sanzione all’effettiva dannosità della condotta posta in essere […] volta a tenere conto del limitato peso del costo del finanziamento sull’intero costo dell’auto…”.
Non resta che attendere i prevedibili ricorsi di tutte le Parti coinvolte.
Jacopo Pelucchi
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Abuso di dipendenza economica e distribuzione di quotidiani – L’AGCM apre un procedimento istruttorio nei confronti delle società M-Dis Distribuzione Media S.p.A. e TO-Dis S.r.l. per una presunta condotta di abuso di dipendenza economica nel settore della distribuzione di stampa quotidiana e periodica
M-Dis Distribuzione Media S.p.A. (M-Dis) è un distributore nazionale di stampa quotidiana e periodica, controllata congiuntamente dalle società editrici RCS Media Group e DeAgostini. M-Dis controlla al 100% la società TO-Dis S.r.l. (To-Dis) (congiuntamente, le Società), anch’essa attiva come distributore nazionale di quotidiani e periodici nonché distributore locale per l’area di Torino. A seguito di una segnalazione dell’impresa Rovido (Rovido o la Segnalante), operante come distributore locale nell’area di Genova e delle zone limitrofe (il Mercato di Genova), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un procedimento per accertare la sussistenza di condotte qualificabili come un abuso di dipendenza economica da parte delle Società nei confronti di Rovido.
Il procedimento interessa il mercato della distribuzione nazionale di stampa quotidiana e periodica, in cui i distributori nazionali prestano un servizio agli editori e forniscono i distributori locali, nonché il mercato della distribuzione locale dei medesimi prodotti, in cui i distributori locali a loro volta si occupano di fornire le edicole e di gestire i resi. Quest’ultimo mercato ha una dimensione geografica ridotta, per via della necessità di effettuare la distribuzione di prodotti editoriali in un lasso di tempo molto limitato. Rileva sottolineare che le Società distribuiscono in esclusiva circa il 60% del panorama editoriale diffuso nel Mercato di Genova, che dunque non può essere acquistato da altri distributori nazionali, e che in tale percentuale sono ricompresi prodotti editoriali che, per numerosità e diffusione, sarebbero irrinunciabili per un distributore locale.
Con riguardo alle condotte contestate, M-Dis aveva da lungo tempo un contratto in vigore con la Segnalante per la distribuzione di prodotti editoriali nel Mercato di Genova. Dopo le lettere di disdetta di tale contratto da parte di M-Dis e, successivamente, di To-Dis (a seguito dell’acquisizione di quest’ultima), la fornitura a Rovido è stata quindi interrotta a partire dal gennaio 2018. Tale interruzione delle forniture sarebbe dovuta alla volontà di sostituire Rovido con un altro distributore locale controllato dalle Società, anche in seguito del rigetto da parte di Rovido di due proposte di acquisto da parte delle Società medesime. A seguito di ciò, la Segnalante si sarebbe trovata nell’impossibilità di rivolgersi ad altri distributori nazionali per acquistare i titoli editoriali venduti dalle Società, senza i quali, come rileva l’AGCM, la fornitura alle edicole da parte di Rovido sarebbe divenuta non solo incompleta, ma anche antieconomica, provocando da ultimo la sua uscita dal mercato.
A giudizio dell’AGCM, tali condotte sarebbero idonee a integrare un abuso dello stato di dipendenza economica di Rovido ex art. 9, l. n. 192/98, che la definisce come “…la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, […] valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti…” Alla luce della posizione di forza negoziale detenuta da M-Dis e To-Dis nei confronti di Rovido, il recesso unilaterale ha determinato per quest’ultima l’impossibilità di reperire da altri distributori i titoli editoriali forniti dalle Società. Ciò, secondo l’AGCM, potrebbe avere l’effetto di porre la Segnalante in una situazione in cui non solo è impossibilitata a garantire una fornitura completa dei prodotti, ma anche in generale a condurre la propria attività in maniera profittevole. Ciò, peraltro, sarebbe tale da condizionare l’intero mercato rilevante, poiché l’uscita dal mercato di Rovido richiederebbe agli editori di rivedere le scelte di distribuzione e avrebbe un impatto sugli equilibri concorrenziali.
L’AGCM ha pertanto ritenuto, anche in vista della totale assenza di motivazioni a supporto dell’interruzione della fornitura (ad esempio relative a inadempimenti da parte della Segnalante), di avviare un procedimento per l’accertamento di condotte di abuso di dipendenza economica da parte di M-Dis e To-Dis. L’art. 9 l. n. 192/98 dà infatti competenza all’AGCM di attivare i propri poteri qualora ravvisi che un condotta di questo tipo sia rilevante per la tutela della concorrenza. La decisione ha peraltro una portata innovativa, poiché si distacca dalla prassi, consolidatasi nel corso degli anni, di considerare gli abusi di dipendenza economica come sostanzialmente coincidenti con l’art. 102 TFUE, con la conseguenza di perseguire tali condotte solamente se poste in essere da un soggetto con una posizione dominante nel mercato di riferimento, in quanto solo a tale condizione si potevano generare effetti rilevanti per la tutela della concorrenza. Nella decisione in oggetto, al contrario, la dipendenza economica viene trattata come una fattispecie separata, aprendo così, se l’approccio fosse confermato in futuro, a un ruolo più attivo dell’AGCM nell’accertamento di analoghe condotte unilaterali.
Leonardo Stiz
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Il procedimento interessa il mercato della distribuzione nazionale di stampa quotidiana e periodica, in cui i distributori nazionali prestano un servizio agli editori e forniscono i distributori locali, nonché il mercato della distribuzione locale dei medesimi prodotti, in cui i distributori locali a loro volta si occupano di fornire le edicole e di gestire i resi. Quest’ultimo mercato ha una dimensione geografica ridotta, per via della necessità di effettuare la distribuzione di prodotti editoriali in un lasso di tempo molto limitato. Rileva sottolineare che le Società distribuiscono in esclusiva circa il 60% del panorama editoriale diffuso nel Mercato di Genova, che dunque non può essere acquistato da altri distributori nazionali, e che in tale percentuale sono ricompresi prodotti editoriali che, per numerosità e diffusione, sarebbero irrinunciabili per un distributore locale.
Con riguardo alle condotte contestate, M-Dis aveva da lungo tempo un contratto in vigore con la Segnalante per la distribuzione di prodotti editoriali nel Mercato di Genova. Dopo le lettere di disdetta di tale contratto da parte di M-Dis e, successivamente, di To-Dis (a seguito dell’acquisizione di quest’ultima), la fornitura a Rovido è stata quindi interrotta a partire dal gennaio 2018. Tale interruzione delle forniture sarebbe dovuta alla volontà di sostituire Rovido con un altro distributore locale controllato dalle Società, anche in seguito del rigetto da parte di Rovido di due proposte di acquisto da parte delle Società medesime. A seguito di ciò, la Segnalante si sarebbe trovata nell’impossibilità di rivolgersi ad altri distributori nazionali per acquistare i titoli editoriali venduti dalle Società, senza i quali, come rileva l’AGCM, la fornitura alle edicole da parte di Rovido sarebbe divenuta non solo incompleta, ma anche antieconomica, provocando da ultimo la sua uscita dal mercato.
A giudizio dell’AGCM, tali condotte sarebbero idonee a integrare un abuso dello stato di dipendenza economica di Rovido ex art. 9, l. n. 192/98, che la definisce come “…la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, […] valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti…” Alla luce della posizione di forza negoziale detenuta da M-Dis e To-Dis nei confronti di Rovido, il recesso unilaterale ha determinato per quest’ultima l’impossibilità di reperire da altri distributori i titoli editoriali forniti dalle Società. Ciò, secondo l’AGCM, potrebbe avere l’effetto di porre la Segnalante in una situazione in cui non solo è impossibilitata a garantire una fornitura completa dei prodotti, ma anche in generale a condurre la propria attività in maniera profittevole. Ciò, peraltro, sarebbe tale da condizionare l’intero mercato rilevante, poiché l’uscita dal mercato di Rovido richiederebbe agli editori di rivedere le scelte di distribuzione e avrebbe un impatto sugli equilibri concorrenziali.
L’AGCM ha pertanto ritenuto, anche in vista della totale assenza di motivazioni a supporto dell’interruzione della fornitura (ad esempio relative a inadempimenti da parte della Segnalante), di avviare un procedimento per l’accertamento di condotte di abuso di dipendenza economica da parte di M-Dis e To-Dis. L’art. 9 l. n. 192/98 dà infatti competenza all’AGCM di attivare i propri poteri qualora ravvisi che un condotta di questo tipo sia rilevante per la tutela della concorrenza. La decisione ha peraltro una portata innovativa, poiché si distacca dalla prassi, consolidatasi nel corso degli anni, di considerare gli abusi di dipendenza economica come sostanzialmente coincidenti con l’art. 102 TFUE, con la conseguenza di perseguire tali condotte solamente se poste in essere da un soggetto con una posizione dominante nel mercato di riferimento, in quanto solo a tale condizione si potevano generare effetti rilevanti per la tutela della concorrenza. Nella decisione in oggetto, al contrario, la dipendenza economica viene trattata come una fattispecie separata, aprendo così, se l’approccio fosse confermato in futuro, a un ruolo più attivo dell’AGCM nell’accertamento di analoghe condotte unilaterali.
Leonardo Stiz
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Intese e settore dei farmaci emoderivati – L’AGCM chiude senza accertamento di infrazione l’istruttoria relativa alla partecipazione attraverso un RTI ad una gara per l’affidamento di servizi relativi alla produzione di farmaci plasma-derivati
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha ritenuto che non sussistano motivi di intervento nei confronti di Kedrion S.p.A. (Kedrion), Grifols S.A. e Grifols Italia S.p.A. (insieme, Grifols) in relazione al procedimento aperto nei confronti di queste ultime il 10 gennaio 2018 per accertare l’esistenza di una possibile intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’articolo 101 TFUE e/o dell’articolo 2 della legge 287/90.
La condotta in merito alla quale l’AGCM aveva avviato il procedimento in discorso si sarebbe svolta nel contesto di quattro gare bandite dai raggruppamenti regionali appositamente costituiti per l’organizzazione congiunta di procedure di gara per l’affidamento di servizi relativi alla lavorazione del plasma e alla realizzazione dei c.d. plasmaderivati, farmaci emoderivati impiegati in interventi di urgenza e per il trattamento di malattie gravi. Tali raggruppamenti regionali sono stati stabiliti dalle Regioni stesse attraverso la sottoscrizione di altrettanti accordi interregionali denominati, rispettivamente, “Nuovo Accordo Interregionale” (“NAIP”), “RIPP”, “Pla.net” e “Accordo”. La condotta contestata era stata la partecipazione congiunta di Kadrion e Grifols alla gara organizzata per conto del raggruppamento di regioni “RIPP” (la gara RIPP), attraverso un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI). Ciò in quanto entrambe le imprese erano in grado di partecipare alla gara separatamente, poiché avevano entrambe a disposizione i prodotti-driver richiesto dal bando, con la conseguenza che il RTI avrebbe potuto essere considerato sovrabbondante e tale da esprimere un impiego strumentale dell’istituto al fine di evitare un confronto diretto tra Kedrion e Grifols.
Peraltro, secondo quando riportato nel provvedimento in commento, le risultanze istruttorie avrebbero evidenziato ragioni che sembrerebbero giustificare la partecipazione di Kedrion insieme a Grifols alla gara RIPP, individuate nella necessità di migliorare le rese dei prodotti offerti ed offrire garanzie di back-up produttivo e ampliamento (ancorché minimo) del portafoglio prodotti. Ciò anche tenuto conto della circostanza che, sotto il profilo concorrenziale, il raggruppamento non avrebbe comunque fatto venire meno l’intensità del confronto concorrenziale rispetto alla gara RIPP poiché altre imprese avevano già mostrato il proprio interesse a partecipare alla stessa. Inoltre, dalle evidenze istruttorie risulta come Grifols, in seguito all’aggiudicazione della gara organizzata per conto del raggruppamento di regioni “NAIP” (la gara NAIP) ad un concorrente, avesse percepito chiaramente la propria inadeguatezza rispetto alle esigenze del mercato italiano, e come, dai documenti interni all’impresa, si possa evincere la consapevolezza della necessità di ampliare il proprio portafoglio di prodotti nonché dell’insufficiente competitività in termini di prezzo per quanto riguarda la parte economica dell’offerta, prestando ulteriore credibilità all’ipotesi che l’impiego della forma del RTI rispondesse a intenti genuinamente economici piuttosto che a finalità collusive.
In ragione di tali evidenze, l’AGCM ha concluso per l’insufficienza di elementi a sostegno dell’ipotesi dell’esistenza di un intento anticoncorrenziale nella costituzione del RTI e ha pertanto deliberato la chiusura del procedimento istruttorio senza comminare alcuna sanzione.
Riccardo Fadiga