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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza Italia / Bid rigging e settore dei servizi di facility management – Il TAR annulla il provvedimento con il quale l’AGCM aveva sanzionato per oltre 38 milioni di euro il gruppo ENGIE
Con la sentenza n. 8768 pubblicata lo scorso 27 luglio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha accolto il ricorso presentato da ENGIE Servizi S.p.A. (ENGIE) avverso il provvedimento (il Provvedimento) con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva sanzionato tale società (in solido con la propria parent company ENGIE Energy Services International SA) per un importo superiore a 38 milioni di euro.
Nell’aprile 2019, l’AGCM aveva adottato il Provvedimento, ritenendo di aver accertato la messa in atto da parte di diverse società di condotte anticoncorrenziali in merito alla partecipazione ad una gara bandita da Consip (la centrale nazionale per gli acquisti della pubblica amministrazione) relativa ai servizi di c.d. facility management. Più precisamente, all’esito di una lunga e complessa istruttoria, l’AGCM aveva ritenuto che Manutencoop, Manital, Romeo e CNS (quest’ultimo, “reo confesso” dell’illecito innanzi alla stessa AGCM e che, pertanto, ha potuto beneficiare dell’immunità dalla sanzione) avessero realizzato un’intesa “a scacchiera” avente ad oggetto la partecipazione e la tipologia delle offerte presentate nei diversi singoli lotti. Nonostante un comportamento antitetico a quanto asseritamente concordato, l’AGCM aveva prefigurato una condotta collusiva anche da parte di ENGIE (già Cofely), in virtù di presunte “cointeressenze” indirette (e sconfessate dal TAR) tra CSEL (partecipante in ATI con la stessa Cofely) e STI, in qualche misura legato a CNS.
Il TAR ha analizzato in maniera dettagliata la ricostruzione operata dall’AGCM, ritenendo la stessa illogica e contraddittoria, non condividendone essenzialmente né i presupposti, né le conclusioni.
In particolare, secondo il TAR le evidenze raccolte in fase di procedimento istruttorio (in parte confluite anche dal procedimento penale svoltosi pressoché in parallelo con questa vicenda) non hanno dimostrato un collegamento tra Cofely e le partecipanti all’intesa sanzionata; d’altra parte, sempre ad avviso del TAR, l’AGCM avrebbe basato in larga parte le proprie valutazioni su un biglietto rosa (introdotto nel procedimento dal leniency applicant CNS) sul quale erano riportati, i nomi dei principali operatori che avrebbero partecipato all’intesa spartitoria, una spiegazione non ritenuta attendibile dal giudice di primo grado.
Nella sentenza in commento, il TAR si è poi soffermato sulla natura competitiva delle offerte presentate da Cofely (testimoniata anche dai punteggi da questa ottenuti, che hanno consentito a tale società di classificarsi sempre prima o seconda in graduatoria nei lotti in cui ha presentato un’offerta) che mal si concilierebbe con una condotta collusiva; ad esempio, la stessa Cofely si era aggiudicata un lotto che secondo l’accordo a scacchiera sarebbe dovuto essere assegnato a Romeo e la cui reazione – come si evince dalle intercettazioni telefoniche effettuate – pur apparendo a dir poco sorpresa e infastidita, era stata completamente non considerata dall’AGCM.
Alla luce di tali considerazioni, il TAR ha, dunque, annullato in toto il Provvedimento, ossia sia l’accertamento dell’asserito illecito, sia la condanna al pagamento della sanzione.
Si tratta di una pronuncia piuttosto rilevante non solo dal punto di vista giuridico, ma anche in termini di impatto economico a lungo termine sul mercato di riferimento, considerata le limitazioni alla partecipazione di gare pubbliche per le imprese ritenute inter alia responsabili di intese anticoncorrenziali. Ciò anche in considerazione della completamente differente valutazione operata dal TAR in relazione alle imprese che hanno preso parte alla scacchiera, nei confronti delle quali è stata disposta la sola rideterminazione della sanzione, ma non l’annullamento tout court dell’accertamento all’infrazione, alla luce delle evidenze raccolte dall’AGCM che hanno suffragato la partecipazione di tali imprese alla scacchiera. Resta da vedere quale sarà l’esito di una possibile impugnazione innanzi al Consiglio di Stato.
Luca Feltrin
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Nell’aprile 2019, l’AGCM aveva adottato il Provvedimento, ritenendo di aver accertato la messa in atto da parte di diverse società di condotte anticoncorrenziali in merito alla partecipazione ad una gara bandita da Consip (la centrale nazionale per gli acquisti della pubblica amministrazione) relativa ai servizi di c.d. facility management. Più precisamente, all’esito di una lunga e complessa istruttoria, l’AGCM aveva ritenuto che Manutencoop, Manital, Romeo e CNS (quest’ultimo, “reo confesso” dell’illecito innanzi alla stessa AGCM e che, pertanto, ha potuto beneficiare dell’immunità dalla sanzione) avessero realizzato un’intesa “a scacchiera” avente ad oggetto la partecipazione e la tipologia delle offerte presentate nei diversi singoli lotti. Nonostante un comportamento antitetico a quanto asseritamente concordato, l’AGCM aveva prefigurato una condotta collusiva anche da parte di ENGIE (già Cofely), in virtù di presunte “cointeressenze” indirette (e sconfessate dal TAR) tra CSEL (partecipante in ATI con la stessa Cofely) e STI, in qualche misura legato a CNS.
Il TAR ha analizzato in maniera dettagliata la ricostruzione operata dall’AGCM, ritenendo la stessa illogica e contraddittoria, non condividendone essenzialmente né i presupposti, né le conclusioni.
In particolare, secondo il TAR le evidenze raccolte in fase di procedimento istruttorio (in parte confluite anche dal procedimento penale svoltosi pressoché in parallelo con questa vicenda) non hanno dimostrato un collegamento tra Cofely e le partecipanti all’intesa sanzionata; d’altra parte, sempre ad avviso del TAR, l’AGCM avrebbe basato in larga parte le proprie valutazioni su un biglietto rosa (introdotto nel procedimento dal leniency applicant CNS) sul quale erano riportati, i nomi dei principali operatori che avrebbero partecipato all’intesa spartitoria, una spiegazione non ritenuta attendibile dal giudice di primo grado.
Nella sentenza in commento, il TAR si è poi soffermato sulla natura competitiva delle offerte presentate da Cofely (testimoniata anche dai punteggi da questa ottenuti, che hanno consentito a tale società di classificarsi sempre prima o seconda in graduatoria nei lotti in cui ha presentato un’offerta) che mal si concilierebbe con una condotta collusiva; ad esempio, la stessa Cofely si era aggiudicata un lotto che secondo l’accordo a scacchiera sarebbe dovuto essere assegnato a Romeo e la cui reazione – come si evince dalle intercettazioni telefoniche effettuate – pur apparendo a dir poco sorpresa e infastidita, era stata completamente non considerata dall’AGCM.
Alla luce di tali considerazioni, il TAR ha, dunque, annullato in toto il Provvedimento, ossia sia l’accertamento dell’asserito illecito, sia la condanna al pagamento della sanzione.
Si tratta di una pronuncia piuttosto rilevante non solo dal punto di vista giuridico, ma anche in termini di impatto economico a lungo termine sul mercato di riferimento, considerata le limitazioni alla partecipazione di gare pubbliche per le imprese ritenute inter alia responsabili di intese anticoncorrenziali. Ciò anche in considerazione della completamente differente valutazione operata dal TAR in relazione alle imprese che hanno preso parte alla scacchiera, nei confronti delle quali è stata disposta la sola rideterminazione della sanzione, ma non l’annullamento tout court dell’accertamento all’infrazione, alla luce delle evidenze raccolte dall’AGCM che hanno suffragato la partecipazione di tali imprese alla scacchiera. Resta da vedere quale sarà l’esito di una possibile impugnazione innanzi al Consiglio di Stato.
Luca Feltrin
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Bid rigging e gare per la gestione dei servizi per la sicurezza sul lavoro – Il TAR annulla le sanzioni irrogate dall’AGCM nei confronti di Sintesi, Com Metodi e Igeam
Il 27 luglio scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha accolto i ricorsi presentati dalle società Sintesi S.p.A. (Sintesi), Com Metodi S.p.A. (Com Metodi) e Igeam S.r.l. (Igeam) (collettivamente, le Società), avverso il provvedimento n. 27908 del 2019 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con il quale era stata accertata un’intesa anticoncorrenziale avente ad oggetto il condizionamento della gara indetta da Consip S.p.A. (Consip), nel dicembre 2015, relativa alla fornitura dei servizi di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro presso le Pubbliche Amministrazioni (la Gara).
In seguito a una segnalazione effettuata da Consip, l’AGCM aveva accertato la sussistenza di una pratica concordata tra le Società, le quali avrebbero coordinato le proprie strategie di partecipazione alla Gara al fine di spartirsi i lotti e di cristallizzare le rispettive quote di mercato. Secondo l’AGCM, come nel primo caso commentato in questa Newsletter, la concertazione si sarebbe esplicata mediante la presentazione di offerte “a scacchiera”, vale a dire di offerte che prevedevano sconti differenti nei nove lotti oggetto di gara, in modo che non vi fosse alcuna sovrapposizione tra gli sconti più significativi presentati da ciascuna impresa. In questo modo, secondo quanto concluso dall’AGCM, le società avrebbero equamente spartito i lotti in gara, preservando la stabilità delle quote di mercato “storiche” che esse detenevano nell’ambito delle gare Consip sulla salute e sicurezza, anche a fronte della decisione di Consip di modificare la ripartizione geografica dei lotti nella Gara (incrementati da sei a nove). L’AGCM aveva quindi irrogato nei confronti delle società una sanzione complessivamente pari ad oltre tre milioni di euro.
Le tre Società hanno impugnato il provvedimento dell’AGCM dinanzi al TAR, deducendo, inter alia, la mancata sussistenza dei requisiti della pratica concordata enucleati dalla giurisprudenza nazionale e eurounitaria, e, in particolare, una motivazione carente e contraddittoria in relazione alla sussistenza degli elementi di prova endogeni ed esogeni dell’illecito sanzionato.
In linea con la giurisprudenza consolidata sul punto, il TAR ha innanzitutto sottolineato che la differenza tra elementi di prova di tipo “esogeno” (ossia i riscontri esterni circa la sussistenza di un’intesa illecita) e “endogeno” (ossia collegati alla mancanza di spiegazioni alternative all’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, in assenza della quale la condotta dei soggetti coinvolti non sarebbe altrimenti razionalmente spiegabile), si riflette sul soggetto sul quale ricade l’onere della prova. Per gli elementi di prova di tipo esogeno, grava sulle imprese l’onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti. La prova dell’irrazionalità (fatta salva l’esistenza di un’intesa) della condotta caratterizzata da elementi “endogeni” grava invece sull’AGCM, e la società può limitarsi a dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati e che consentano così di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella dell’AGCM.
Il TAR si è quindi soffermato sugli elementi di prova esogeni posti alla base della ricostruzione dell’AGCM, non riscontrando alcun elemento che potesse individuare un contatto sia pure indiretto tra le tre Società prima della presentazione delle offerte e comunque ai fini di concertare una “tattica” di partecipazione alla gara. In particolare, il Collegio ha rilevato l’assenza di documenti o altri elementi esogeni che coinvolgessero Sintesi e, quindi, che potessero sostenere la sussistenza di incontri e accordi “a tre”, al fine di presentare offerte “a scacchiera”, prima dello svolgimento della Gara. Sempre in relazione agli elementi esogeni, il Collegio ha messo in rilievo alcuni documenti dai quali emergeva l’assenza di quel clima collaborativo e amichevole tra le tre Società che l’AGCM aveva ritenuto essere alla base del disegno collusivo sanzionato. In definitiva, con riferimento agli elementi esogeni, il Collegio non ha rilevato la sussistenza di “… reiterati, inequivocabili, scambi di informazione, su dati sensibili o altri elementi utili …” a far propendere per una concertazione consapevole tra Igeam, Com Metodi e Sintesi.
Nel contesto della valutazione degli elementi endogeni della pratica concordata, il TAR ha affermato che se il complesso di indizi invocato dall’AGCM deve essere valutato globalmente e non in maniera “atomistica”, è altrettanto vero che deve sussistere – soprattutto in caso di assenza di elementi esogeni – un certo numero di coincidenze e di indizi che devono essere nel loro complesso “seri, precisi e concordanti”, tali da costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, prova dell’intesa anticoncorrenziale. Nel caso di specie, tuttavia, le imprese avrebbero dimostrato circostanze che consentivano di dare una diversa spiegazione plausibile dei fatti, basate in particolare sulla diversa appetibilità dei lotti in gara per ciascuna società: al riguardo, il TAR ha invero evidenziato che “… in sostanza, rilevavano per tutte le partecipanti la collocazione territoriale della potenziale cliente e la pregressa conoscenza della stessa …”. Sintesi, ad esempio, ha fornito una spiegazione alternativa plausibile, fondata anche su deduzioni tecnico-matematiche che l’AGCM non ha preso in considerazione (con conseguente difetto di istruttoria). In questo modo, essa avrebbe dimostrato che il ribasso da essa formulato nei lotti ad essa non aggiudicati era potenzialmente idoneo ad attribuirle l’aggiudicazione. Il TAR ha poi suffragato la tesi delle tre Società, che avevano giustificato la loro offerta in determinati lotti sulla base della loro c.d. incumbency sul territorio, ossia una situazione che comportava un’ottimizzazione dei costi nella gestione della clientela nei lotti ritenuti “prioritari”, usufruendo di personale già formato, investimenti già effettuati e un mirato programma di marketing (difesa che, curiosamente, sembra dare conferma alla tesi dell’AGCM in altre tipologie di gare, dove ritiene che l’incumbent abbia un vantaggio informativo non replicabile).
Infine, il TAR ha rilevato che nella ricostruzione dell’AGCM si teneva conto solo della posizione delle tre Società e dello schema “a scacchiera” ma era stata omessa la valutazione delle offerte di tutti gli altri concorrenti.
In seguito a una segnalazione effettuata da Consip, l’AGCM aveva accertato la sussistenza di una pratica concordata tra le Società, le quali avrebbero coordinato le proprie strategie di partecipazione alla Gara al fine di spartirsi i lotti e di cristallizzare le rispettive quote di mercato. Secondo l’AGCM, come nel primo caso commentato in questa Newsletter, la concertazione si sarebbe esplicata mediante la presentazione di offerte “a scacchiera”, vale a dire di offerte che prevedevano sconti differenti nei nove lotti oggetto di gara, in modo che non vi fosse alcuna sovrapposizione tra gli sconti più significativi presentati da ciascuna impresa. In questo modo, secondo quanto concluso dall’AGCM, le società avrebbero equamente spartito i lotti in gara, preservando la stabilità delle quote di mercato “storiche” che esse detenevano nell’ambito delle gare Consip sulla salute e sicurezza, anche a fronte della decisione di Consip di modificare la ripartizione geografica dei lotti nella Gara (incrementati da sei a nove). L’AGCM aveva quindi irrogato nei confronti delle società una sanzione complessivamente pari ad oltre tre milioni di euro.
Le tre Società hanno impugnato il provvedimento dell’AGCM dinanzi al TAR, deducendo, inter alia, la mancata sussistenza dei requisiti della pratica concordata enucleati dalla giurisprudenza nazionale e eurounitaria, e, in particolare, una motivazione carente e contraddittoria in relazione alla sussistenza degli elementi di prova endogeni ed esogeni dell’illecito sanzionato.
In linea con la giurisprudenza consolidata sul punto, il TAR ha innanzitutto sottolineato che la differenza tra elementi di prova di tipo “esogeno” (ossia i riscontri esterni circa la sussistenza di un’intesa illecita) e “endogeno” (ossia collegati alla mancanza di spiegazioni alternative all’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, in assenza della quale la condotta dei soggetti coinvolti non sarebbe altrimenti razionalmente spiegabile), si riflette sul soggetto sul quale ricade l’onere della prova. Per gli elementi di prova di tipo esogeno, grava sulle imprese l’onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti. La prova dell’irrazionalità (fatta salva l’esistenza di un’intesa) della condotta caratterizzata da elementi “endogeni” grava invece sull’AGCM, e la società può limitarsi a dimostrare circostanze plausibili che pongano sotto una luce diversa i fatti accertati e che consentano così di dare una diversa spiegazione dei fatti rispetto a quella dell’AGCM.
Il TAR si è quindi soffermato sugli elementi di prova esogeni posti alla base della ricostruzione dell’AGCM, non riscontrando alcun elemento che potesse individuare un contatto sia pure indiretto tra le tre Società prima della presentazione delle offerte e comunque ai fini di concertare una “tattica” di partecipazione alla gara. In particolare, il Collegio ha rilevato l’assenza di documenti o altri elementi esogeni che coinvolgessero Sintesi e, quindi, che potessero sostenere la sussistenza di incontri e accordi “a tre”, al fine di presentare offerte “a scacchiera”, prima dello svolgimento della Gara. Sempre in relazione agli elementi esogeni, il Collegio ha messo in rilievo alcuni documenti dai quali emergeva l’assenza di quel clima collaborativo e amichevole tra le tre Società che l’AGCM aveva ritenuto essere alla base del disegno collusivo sanzionato. In definitiva, con riferimento agli elementi esogeni, il Collegio non ha rilevato la sussistenza di “… reiterati, inequivocabili, scambi di informazione, su dati sensibili o altri elementi utili …” a far propendere per una concertazione consapevole tra Igeam, Com Metodi e Sintesi.
Nel contesto della valutazione degli elementi endogeni della pratica concordata, il TAR ha affermato che se il complesso di indizi invocato dall’AGCM deve essere valutato globalmente e non in maniera “atomistica”, è altrettanto vero che deve sussistere – soprattutto in caso di assenza di elementi esogeni – un certo numero di coincidenze e di indizi che devono essere nel loro complesso “seri, precisi e concordanti”, tali da costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, prova dell’intesa anticoncorrenziale. Nel caso di specie, tuttavia, le imprese avrebbero dimostrato circostanze che consentivano di dare una diversa spiegazione plausibile dei fatti, basate in particolare sulla diversa appetibilità dei lotti in gara per ciascuna società: al riguardo, il TAR ha invero evidenziato che “… in sostanza, rilevavano per tutte le partecipanti la collocazione territoriale della potenziale cliente e la pregressa conoscenza della stessa …”. Sintesi, ad esempio, ha fornito una spiegazione alternativa plausibile, fondata anche su deduzioni tecnico-matematiche che l’AGCM non ha preso in considerazione (con conseguente difetto di istruttoria). In questo modo, essa avrebbe dimostrato che il ribasso da essa formulato nei lotti ad essa non aggiudicati era potenzialmente idoneo ad attribuirle l’aggiudicazione. Il TAR ha poi suffragato la tesi delle tre Società, che avevano giustificato la loro offerta in determinati lotti sulla base della loro c.d. incumbency sul territorio, ossia una situazione che comportava un’ottimizzazione dei costi nella gestione della clientela nei lotti ritenuti “prioritari”, usufruendo di personale già formato, investimenti già effettuati e un mirato programma di marketing (difesa che, curiosamente, sembra dare conferma alla tesi dell’AGCM in altre tipologie di gare, dove ritiene che l’incumbent abbia un vantaggio informativo non replicabile).
Infine, il TAR ha rilevato che nella ricostruzione dell’AGCM si teneva conto solo della posizione delle tre Società e dello schema “a scacchiera” ma era stata omessa la valutazione delle offerte di tutti gli altri concorrenti.
In conclusione, la sentenza in esame riveste particolare interesse in quanto, come la prima notizia commentata in questa Newsletter, sembrerebbe rivelare una maggiore propensione del TAR ad analizzare in maniera dettagliata le ricostruzioni operate dall’AGCM, verificando (si potrebbe dire, finalmente!) direttamente i fatti posti a fondamento del provvedimento. Resta anche in questo caso da vedere le valutazioni operate dal TAR saranno in grado di passare il vaglio di una impugnazione innanzi al Consiglio di Stato.
Luigi Eduardo Bisogno
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Luigi Eduardo Bisogno
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Intese e gare pubbliche – L’AGCM conclude che non sussistano i presupposti per proseguire il procedimento nei confronti delle società aggiudicatarie dei lotti della gara Consip per la fornitura di strumenti e servizi di informatica e telecomunicazioni
Con una decisione a sorpresa, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato lo scorso 8 luglio che sono venuti meno i motivi di intervento ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) in relazione alle società Converge S.p.A. (Converge), Italware S.r.l. (Italware), Computer Gross S.p.A. (CG) e Zucchetti Informatica S.p.A. (ZI) (congiuntamente, le Parti) nei confronti di cui l’AGCM aveva avviato un’istruttoria il 17 luglio 2019 a seguito di una segnalazione da parte della Guardia di Finanza (GdF) di possibili condotte anticoncorrenziali che sarebbero state poste in essere dalle Parti nell’ambito di gare per la fornitura di beni e servizi di informatica e di telecomunicazioni alla Pubblica Amministrazione.
In particolare, la GdF aveva prospettato un’ipotesi di intesa restrittiva della concorrenza finalizzata alla presentazione di offerte di gara illecitamente concertate per la ripartizione delle commesse indette dalla Consip nell’ambito dell’acquisto di beni e servizi di informatica e telecomunicazioni. Segnatamente, la GdF aveva registrato offerte apparentemente alternate tra Italware e ZI, così come tra Converge e Italware. Il tutto in un generale contesto di un numero più limitato del previsto di partecipanti ai lotti messi in gara, nonché dell’esistenza di accordi commerciali verticali tra i principali produttori e i distributori e rivenditori, che avrebbero potuto limitare il numero dei partecipanti alle gare in esame. In particolare, l’AGCM aveva inizialmente individuato le seguenti potenziali criticità: (i) il contenuto numero di partecipanti alla gara; (ii) la limitata concorrenza c.d. intrabrand, i.e. tra diversi rivenditori di prodotti del medesimo marchio; e (iii) l’alternanza delle aggiudicazioni e la polarizzazione delle stesse su un limitato numero di soggetti. In relazione al punto (i) l’AGCM ipotizzava che, in ragione di diversi fattori, tra cui le elevate dimensioni dei lotti, la presenza di requisiti tecnici e finanziari elevati e l’impiego di criteri di valutazione dell’offerta che premiavano in misura prevalente l’offerta economica rispetto a quella tecnica, di fatto avrebbero potuto limitare la partecipazione alla gara ai soli rivenditori di dimensioni maggiori, escludendone quelli di dimensioni minori per l’impossibilità di soddisfare volumi o requisiti così sfidanti. Relativamente alla ridotta concorrenza intrabrand di cui al punto (ii), l’AGCM aveva invece rilevato che sebbene non sussistevano accordi di esclusiva tra produttori e rivenditori, tuttavia il modello di business di tali operatori genuinamente risultava ottimizzato quando imperniato su una relazione di partnership bilaterale, di fatto reciprocamente esclusiva. Da ultimo, la polarizzazione delle aggiudicazioni di cui al punto (iii) per l’AGCM sarebbe potuta dipendere dalla specializzazione dei produttori in relazione a particolari segmenti tecnologici che rispondono a determinate caratteristiche tecniche ed economiche (combinata con lo scarso interesse a vincere un alto numero di lotti viste le difficoltà in ottenere gli importanti volumi richiesti per soddisfare ciascuno di essi).
L’AGCM, con una decisione non comune, ha tuttavia rilevato che non vi fossero sufficienti elementi per sostenere l’esistenza di un coordinamento consapevole né in senso orizzontale (tra i rivenditori) per la spartizione dei lotti di gara, né in senso verticale (tra rivenditori e produttori) per l’esclusione di ulteriori potenziali operatori dal mercato, e ha conseguentemente concluso il procedimento senza l’accertamento di un illecito. L’importanza del provvedimento in discorso è innegabile: l’AGCM stessa ha fornito un utile catalogo di valide giustificazioni ad apparenti indici di potenziali condotte anticoncorrenziali, quale, per esempio, la specializzazione di ciascun fornitore sul prodotto caratterizzante ciascun diverso lotto come spiegazione della aggiudicazione “a scacchiera” di lotti differenziati, particolarmente interessante alla luce del generale approccio dell’AGCM di considerare tale fenomeno evidenza di una probabile condotta anticoncorrenziale.
Riccardo Fadiga
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Alimentari e settore della grande distribuzione organizzata – Il TAR accoglie i ricorsi presentati da Conad ed Eurospin accertando l’inesistenza di condizioni ingiustificatamente gravose in capo ai fornitori di pane fresco
Con 8 diverse sentenze pubblicate lo scorso 29 luglio, il Tribunale Amministrativo per il Lazio (TAR) ha accolto i ricorsi presentati da sei società appartenenti al Gruppo Conad (ossia, Conad del Tirreno Soc. Coop.; Conad Adriatico Soc. Coop.; Nordiconad Soc. Coop.; Conad Centro Nord Soc. Coop.; Pac2000a Soc. Coop. e Dettaglianti Alimentari Organizzati Soc. Coop.) (congiuntamente, Conad) e dal Gruppo Eurospin (Eurospin) (congiuntamente, le Ricorrenti) avverso i provvedimenti emanati il 1 luglio 2019 (i Provvedimenti) con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) – a valle di una segnalazione dell’Associazione Italiana Panificatori e Affini (Assipan) – aveva sanzionato le Ricorrenti per un ammontare complessivo di €340.000 per aver posto in essere condotte contrarie al disposto dell’articolo 62, commi 1 e 2, del Decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012 (D.l. 1/2012) nonché dell’articolo 4, commi 1 e 2, del relativo Decreto attuativo n. 199 del 19 ottobre 2012 (Decreto 199/2012), determinando così l’annullamento di entrambi i Provvedimenti.
In particolare, ad avviso dell’AGCM, le Ricorrenti, sfruttando la loro posizione di forza commerciale, avrebbero imposto ai propri fornitori di pane fresco (i Fornitori) – qualificati nei Provvedimenti oggetto di ricorso come ‘soggetti deboli’ nel rapporto negoziale – delle “condizioni ingiustificatamente gravose” in violazione del suddetto articolo 62 e consistenti i) nell’imposizione a carico dei Fornitori delle operazioni di ritiro e smaltimento dell’intero quantitativo di pane rimasto invenduto al termine della giornata; e ii) nella stipula di una clausola di ‘obbligo di reso’, la quale prevedeva il riaccredito alle Ricorrenti del prezzo da queste precedentemente corrisposto per l’acquisto della merce che risultava invenduta a fine giornata. In altre parole, l’AGCM ha sanzionato Conad ed Eurospin poiché ha ritenuto che il rapporto posto in essere con i propri Fornitori fosse caratterizzato dalla sussistenza di un “significativo squilibrio commerciale” che si sarebbe tradotta nell’imposizione di una clausola di reso ingiustificatamente gravosa, nonché nel trasferimento in capo ai Fornitori di un rischio sproporzionato.
Le Ricorrenti hanno, come detto, presentato ricorso avverso tali Provvedimenti basando la loro posizione su distinti motivi di ricorso oggetto di analisi – nelle loro specifiche più rilevanti – nel presente commento. In particolare, le Ricorrenti i) hanno lamentato una falsa applicazione dell’articolo 62 del D.l. 1/2012 da parte dell’AGCM argomentando che benché i contratti per la fornitura di pane siano stati stipulati dalle Ricorrenti, le specifiche pattuizioni sono state tuttavia applicate dai titolari dei diversi punti vendita, i quali individuano quotidianamente la quantità di pane necessaria e che, pertanto, devono essere intesi come i soggetti effettivamente responsabili; e ii) hanno sottolineato l’assenza di un significativo squilibrio commerciale tra le parti contraenti, la quale ha determinato l’assenza di una vera e propria imposizione da parte delle Ricorrenti stesse di una condizione contrattuale asseritamente onerosa, come l’AGCM ha inteso qualificare la summenzionata clausola di reso.
Il TAR – dopo aver riconosciuto, a necessaria premessa, l’inapplicabilità ratione temporis della Direttiva n. 633 del 17 aprile 2019, la quale vieta le pratiche commerciali consistenti nella previsione della restituzione da parte dell’acquirente al fornitore di prodotti alimentari rimasti invenduti “senza corrispondere alcun pagamento per tali prodotti invenduti o senza corrispondere alcun pagamento per il loro smaltimento, o entrambi” – ha rigettato tali motivi di ricorso, in primis, sottolineando la totale irrilevanza del fatto che i titolari dei singoli punti vendita potessero apportare modifiche ai contratti di fornitura di pane fresco sottoscritti con i Fornitori, poiché erano le Ricorrenti stesse a predisporre i relativi schemi contrattuali standard e a provvedere ai pagamenti, riconoscendo così in capo a quest’ultime la responsabilità per le clausole in esame; e, in secondo luogo, ritenendo che l’AGCM avesse sufficientemente provato e argomentato la sussistenza di un effettivo squilibrio tra le Ricorrenti ed i Fornitori.
Il TAR ha tuttavia considerato meritevoli di accoglimento le doglianze presentate da Conad ed Eurospin nella misura in cui lamentavano la superficialità e parzialità dell’istruttoria dell’AGCM. In particolare, il TAR ha considerato inadeguata la ricostruzione istruttoria dell’AGCM nella parte in cui aveva attribuito eccessiva rilevanza alle dichiarazioni unilaterali rese dai Fornitori, le quali rivestivano natura meramente indiziaria e non apparivano supportate da un adeguato riscontro probatorio oggettivo. In particolare, il TAR, dopo aver sostenuto l’inapplicabilità al caso concreto della presunzione di vessatorietà della clausola di reso contenuta nei contratti per la fornitura di pane (la quale, invece, avrebbe trovato applicazione nel caso in cui la controparte contrattuale fosse stata un ‘consumatore’) – ha stabilito che l’AGCM non ha dimostrato in maniera adeguata l’esistenza di una politica commerciale unitaria da parte delle Ricorrenti volta ad imporre ai Fornitori la clausola in parola. Infatti, l’accentuata diversificazione delle modalità di applicazione concreta di tale clausola ha indotto il TAR a considerare viziato l’iter logico seguito nei Provvedimenti. Questo, infatti, ha secondo il TAR trovato fondamento in un’erronea interpretazione ed analisi del formulario contrattuale predisposto dalle Ricorrenti, il quale non solo non prevedeva l’esistenza di una clausola di reso standard ed univoca imposta a tutti i Fornitori, ma permetteva la possibilità in capo ai soggetti interessati di non applicare la clausola di reso; nonché in dichiarazioni rese dai Fornitori non circostanziate, prove di riscontri oggettivi e tra loro contraddittorie (alcuni Fornitori, infatti, hanno sostenuto che le clausole in questione fossero oggetto di negoziazione con il singolo punto vendita).
In conclusione, con le sentenze in esame, il TAR ha voluto porre ulteriore accento sulla necessità che le istruttorie dell’AGCM – incluse quelle concernenti procedimenti relativi alla filiera agroalimentare – risultino non solo fondate su un ragionamento logico coerente e coeso, ma siano anche supportate da un adeguato impianto probatorio, la cui assenza giustifica l’annullamento da parte del TAR dei provvedimenti impugnati. Resta anche in questo caso da vedere quale sarà l’esito di una possibile impugnazione innanzi al Consiglio di Stato.
Luca Feltrin
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Legal News / Golden Power e vizi procedimentali – Il TAR accoglie il ricorso di Retelit in relazione dall’applicazione nei suoi confronti dei c.d. poteri speciali
In data 24 luglio 2020, il Tribunale Amministrativo per il Lazio (TAR) ha accolto il ricorso presentato da Reti Telematiche Italiane S.p.A. (Retelit) contro l’esercizio, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCdM), dei c.d. Golden Power tradottosi nell’imposizione a carico di Retelit, di specifiche condizioni e prescrizioni, nonché nell’irrogazione di una sanzione pari a circa 140.000 euro. In particolare, la PCdM si era pronunciata in merito alla mancata notifica dei nuovi assetti di governance emersi nell’assemblea degli azionisti di Retelit del 27 aprile 2018 (Assemblea degli Azionisti) in cui i tre investitori Bousreval, Axxion e Shareholder Value Management AG avevano presentato una lista di maggioranza per il rinnovo del Consiglio di Amministrazione (CdA) contrapposta a quella di minoranza di Fiber 4.0 S.p.A. (Fiber 4.0).
Veniamo ai fatti: una volta tenutasi l’Assemblea degli Azionisti, Retelit aveva provveduto a notificare, in data 29 maggio 2018, alla PCdM le relative risultanze e il correlato rinnovo del CdA. Retelit aveva specificato nella comunicazione che la notifica era stata effettuata in via “meramente prudenziale”, in quanto non riteneva sussistenti i presupposti richiesti dal D.L. n. 21/2012 per l’imposizione dell’obbligo di notifica, ossia (i) la strategicità degli attivi detenuti dalla società stessa; (ii) nonché l’effetto della modifica della titolarità, del controllo e della disponibilità degli stessi a seguito del rinnovo del CdA.
L’operazione, tuttavia, era stata già oggetto di segnalazione da parte di Fiber 4.0. e, a seguito dell’esame del contenuto di tale denuncia, la PCdM aveva inviato una richiesta di informazioni a Retelit. A seguito di una serie di pareri pro veritate depositati sia da parte di Retelit (a sostegno dell’assenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina in materia di Golden Power), sia di Fiber 4.0, (a sostegno, invece, dell’esistenza delle condizioni per l’applicazione della normativa in parola), la PCdM aveva chiesto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) delle valutazioni in merito alla strategicità degli asset detenuti da Retelit. Una nota Agcom a firma del Segretario Generale dell’Autorità del 6 giugno 2018 aveva concluso che Retelit disponeva di asset strategici (il Parere Agcom).
Il 7 giugno 2018 veniva quindi adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) con cui venivano imposte a Retelit specifiche condizioni e prescrizioni, quali la garanzia della continuità del servizio e della funzionalità della rete, l’elaborazione di programmi industriali e impiego di adeguati investimenti, la tutela della sicurezza fisica e logica della rete. Successivamente, veniva imposta a Retelit una sanzione in ragione della tardiva notifica dell’operazione societaria da parte di Retelit rispetto ai termini previsti dalla legge pari a 140.137,15 euro. A seguito di ciò, Retelit aveva impugnato sia il DPCM con cui erano stati esercitati i Golden Power, sia il DPCM con cui era stata comminata la sanzione per ritardata notifica.
Tanto premesso, il TAR ha ora rilevato la fondatezza di una delle censure, di carattere preliminare e assorbente, sollevate da Retelit e relativa al difetto di competenza del soggetto che ha adottato il Parere Agcom, parere che ha costituito un contributo decisivo per l’analisi della sussistenza del presupposto oggettivo per l’esercizio dei poteri speciali. Il Parere Agcom, infatti, per quanto non obbligatorio, ha rivestito secondo il giudice un’importanza centrale per l’accertamento dell’esistenza del presupposto oggettivo (i.e. la presenza di asset strategici) dei poteri speciali, come si evince dalla circostanza che, “… oltre a essere espressamente citato tra i contributi di cui si è tenuto conto nell’istruttoria, il suo contenuto è stato pressoché fedelmente trascritto, tanto nella parte descrittiva che in quella finale valutativa”. Allo stesso tempo, tuttavia, è stato rilasciato dal Segretario Generale, soggetto che – ai sensi della legge istitutiva dell’Agcom – risulta privo del potere di adottare atti di siffatta natura.
Posto quando sopra, l’istruttoria svolta dalla PCdM è stata, secondo il TAR, viziata per essersi basata, in relazione alla verifica della sussistenza del presupposto oggettivo della “strategicità” degli attivi nella disponibilità di Retelit, su di un parere dell’Agcom rilasciato da un soggetto privo della competenza ad adottarlo. Ne è conseguito l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dei decreti con cui sono stati applicati i Golden Power e della sanzione successivamente comminata.
Resterà da vedere quale sarà l’evoluzione della vicenda in sede di Consiglio di Stato e se quest’ultimo confermerà o meno la mancanza dei presupposti per l’applicazione dei poteri speciali in questione.
Mila Filomena Crispino
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Veniamo ai fatti: una volta tenutasi l’Assemblea degli Azionisti, Retelit aveva provveduto a notificare, in data 29 maggio 2018, alla PCdM le relative risultanze e il correlato rinnovo del CdA. Retelit aveva specificato nella comunicazione che la notifica era stata effettuata in via “meramente prudenziale”, in quanto non riteneva sussistenti i presupposti richiesti dal D.L. n. 21/2012 per l’imposizione dell’obbligo di notifica, ossia (i) la strategicità degli attivi detenuti dalla società stessa; (ii) nonché l’effetto della modifica della titolarità, del controllo e della disponibilità degli stessi a seguito del rinnovo del CdA.
L’operazione, tuttavia, era stata già oggetto di segnalazione da parte di Fiber 4.0. e, a seguito dell’esame del contenuto di tale denuncia, la PCdM aveva inviato una richiesta di informazioni a Retelit. A seguito di una serie di pareri pro veritate depositati sia da parte di Retelit (a sostegno dell’assenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina in materia di Golden Power), sia di Fiber 4.0, (a sostegno, invece, dell’esistenza delle condizioni per l’applicazione della normativa in parola), la PCdM aveva chiesto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) delle valutazioni in merito alla strategicità degli asset detenuti da Retelit. Una nota Agcom a firma del Segretario Generale dell’Autorità del 6 giugno 2018 aveva concluso che Retelit disponeva di asset strategici (il Parere Agcom).
Il 7 giugno 2018 veniva quindi adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) con cui venivano imposte a Retelit specifiche condizioni e prescrizioni, quali la garanzia della continuità del servizio e della funzionalità della rete, l’elaborazione di programmi industriali e impiego di adeguati investimenti, la tutela della sicurezza fisica e logica della rete. Successivamente, veniva imposta a Retelit una sanzione in ragione della tardiva notifica dell’operazione societaria da parte di Retelit rispetto ai termini previsti dalla legge pari a 140.137,15 euro. A seguito di ciò, Retelit aveva impugnato sia il DPCM con cui erano stati esercitati i Golden Power, sia il DPCM con cui era stata comminata la sanzione per ritardata notifica.
Tanto premesso, il TAR ha ora rilevato la fondatezza di una delle censure, di carattere preliminare e assorbente, sollevate da Retelit e relativa al difetto di competenza del soggetto che ha adottato il Parere Agcom, parere che ha costituito un contributo decisivo per l’analisi della sussistenza del presupposto oggettivo per l’esercizio dei poteri speciali. Il Parere Agcom, infatti, per quanto non obbligatorio, ha rivestito secondo il giudice un’importanza centrale per l’accertamento dell’esistenza del presupposto oggettivo (i.e. la presenza di asset strategici) dei poteri speciali, come si evince dalla circostanza che, “… oltre a essere espressamente citato tra i contributi di cui si è tenuto conto nell’istruttoria, il suo contenuto è stato pressoché fedelmente trascritto, tanto nella parte descrittiva che in quella finale valutativa”. Allo stesso tempo, tuttavia, è stato rilasciato dal Segretario Generale, soggetto che – ai sensi della legge istitutiva dell’Agcom – risulta privo del potere di adottare atti di siffatta natura.
Posto quando sopra, l’istruttoria svolta dalla PCdM è stata, secondo il TAR, viziata per essersi basata, in relazione alla verifica della sussistenza del presupposto oggettivo della “strategicità” degli attivi nella disponibilità di Retelit, su di un parere dell’Agcom rilasciato da un soggetto privo della competenza ad adottarlo. Ne è conseguito l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dei decreti con cui sono stati applicati i Golden Power e della sanzione successivamente comminata.
Resterà da vedere quale sarà l’evoluzione della vicenda in sede di Consiglio di Stato e se quest’ultimo confermerà o meno la mancanza dei presupposti per l’applicazione dei poteri speciali in questione.
Mila Filomena Crispino
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