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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza - Europa / Concentrazioni e settore aereo – Il Tribunale dell’UE respinge i ricorsi contro l’acquisto delle bande orarie di Air Berlin da parte di easyJet e Lufthansa
Con le sentenze (T-240/18 e T-296/18) pubblicate il 20 ottobre scorso, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha respinto i ricorsi della compagnia aerea Polskie Linie Lotnicze (LOT) contro le decisioni della Commissione europea (Commissione) che hanno autorizzato le concentrazioni relative all’acquisto da parte di easyJet plc (easyJet) e Deutsche Lufthansa AG (Lufthansa) di alcune attività del gruppo Air Berlin.
La vicenda ha origine quando, a seguito dell’aggravamento della propria situazione finanziaria, nell’agosto 2017 Air Berlin aveva chiesto l’ammissione ad una procedura di insolvenza. In tale contesto, il governo tedesco le aveva concesso un prestito che doveva permetterle di continuare ad essere operativa per un periodo necessario a completare delle necessarie dismissioni. Air Berlin ha quindi concluso un accordo con Lufthansa che prevedeva la cessione di una sua controllata alla quale dovevano essere previamente trasferiti diversi aeromobili e i loro equipaggi, nonché delle bande orarie (i c.d. “slot”, ossia autorizzazioni per utilizzare le infrastrutture aeroportuali necessarie per la prestazione di un servizio aereo in una data e in un’ora precisa) in taluni aeroporti (tra cui Düsseldorf, Zurigo, Amburgo, Monaco, Stoccarda e Berlino-Tegel). Air Berlin si è poi accordata anche con easyJet per il trasferimento di altre bande orarie detenute nell’aeroporto di Berlino-Tegel. Il giorno successivo a quest’ultimo accordo Air Berlin aveva cessato le proprie attività. Il 1° novembre 2017 l’autorità giudiziaria ne aveva dichiarato l’insolvenza.
Le due vendite appena citate (congiuntamente, le Concentrazioni) sono state notificate e, successivamente, approvate dalla Commissione. In tale occasione, per la prima volta nell’esaminare concentrazioni nell’ambito del settore dei servizi di trasporto aereo di passeggeri, la Commissione non ha definito i mercati rilevanti sulla base delle coppie di città tra un punto di origine e un punto di destinazione (i mercati O&D). La Commissione ha dapprima constatato che Air Berlin aveva cessato le proprie attività anteriormente alle Concentrazioni, ritenendo quindi che Air Berlin si fosse ritirata da tutti i mercati O&D nei quali era presente in precedenza. La Commissione ha quindi considerato che le Concentrazioni riguardassero principalmente il trasferimento di bande orarie e ha constatato che tali bande orarie non erano collegate ad alcuna rotta particolare. Di conseguenza, essa ha ritenuto preferibile aggregare, ai fini della sua analisi, tutti i mercati O&D da o verso ciascuno degli aeroporti ai quali erano collegate tali bande orarie. Così facendo, ha definito i mercati rilevanti come quelli di servizi di trasporto aereo di passeggeri da o verso tali aeroporti, nell’ambito dei quali la Commissione ha ritenuto che le Concentrazioni non determinavano ostacoli significativi per la concorrenza.
La compagnia aerea LOT, considerando errata l’analisi della Commissione, ha presentato ricorso dinanzi il Tribunale.
Con le sentenze in esame, il Tribunale ha respinto tali ricorsi accettando la definizione del mercato rilevante adottata dalla Commissione.
In primo luogo, il Tribunale ha osservato che le bande orarie costituiscono un fattore di produzione necessario per accedere ai servizi di infrastrutture aeroportuali e, di conseguenza, per fornire servizi di trasporto aereo. Verificando se l’aumento del numero di bande orarie detenute da easyJet e Lufthansa avesse conferito loro la capacità a precludere l’accesso ai servizi di infrastrutture aeroportuali, la Commissione aveva tenuto conto degli eventuali effetti delle Concentrazione nei mercati O&D rilevanti, pur non esaminandoli singolarmente. In secondo luogo, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione avesse giustamente considerato che le attività di Air Berlin erano cessate anteriormente alle Concentrazioni e indipendentemente da quest’ultima e che, di conseguenza, Air Berlin non era più presente su nessuno di tali mercati O&D. Inoltre, poiché le bande orarie di Air Berlin non erano collegate ad alcun mercato O&D, la Commissione aveva giustamente rilevato che esse potevano essere utilizzate da Lufthansa e da easyJet su mercati O&D diversi da quelli sui quali operava Air Berlin. Di conseguenza, il Tribunale ha dichiarato che, a differenza delle concentrazioni che coinvolgono compagnie aeree ancora in attività, non era certo che le Concentrazioni avessero un effetto sulla concorrenza nei mercati O&D nei quali Air Berlin era presente prima della cessazione delle sue attività. Infine, la ricorrente non aveva fornito indizi seri che suggerissero che l’esame dei singoli mercati O&D avrebbe potuto determinare un ostacolo alla concorrenza.
Infine, il Tribunale ha respinto l’argomento della ricorrente secondo cui il sostegno di cui aveva beneficiato Air Berlin dal governo tedesco avesse modificato la sua capacità di finanziamento e pertanto la Commissione ne avrebbe dovuto tenere conto nella valutazione delle Concentrazioni. In tale contesto, il Tribunale ha osservato che la ricorrente non aveva dimostrato che l’importo del prestito concesso facesse parte delle attività rispettivamente trasferite alla easyJet e alla Lufthansa nell’ambito delle Concentrazioni e pertanto non si poteva ritenere che esso avesse inciso sulla posizione di mercato degli attivi ceduti.
Luigi Eduardo Bisogno
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Concentrazioni ed imposizione di obblighi di reporting – La CMA sanziona Facebook per oltre 50 milioni di sterline per non aver fornito gli aggiornamenti richiesti in relazione all’acquisizione di Giphy
Con un press release dello scorso 20 ottobre, l’Autorità della concorrenza del Regno Unito (la Competition & Market Authority, CMA) ha sanzionato Facebook Inc. (Facebook) per un totale di 50,5 milioni di sterline per aver violato l’ordine di esecuzione (il c.d. ‘initial enforcement order', l’Ordine) da questa emanato in relazione all’operazione di acquisizione di Giphy avvenuta il 15 maggio 2020, il quale imponeva a Facebook di fornire aggiornamenti regolari circa la sua attività sul mercato.
Come già indicato in questa Newsletter, la CMA ha avviato nel marzo 2021 un’istruttoria atta ad analizzare gli effetti potenzialmente lesivi dell’operazione in esame. Nell’ambito di tale istruttoria – in quanto il sistema britannico di merger control non prevede un obbligo di c.d. ‘standstill’ (ossia l’impossibilità di dare attuazione ad una concentrazione prima della sua approvazione) – è una procedura standard, da parte della CMA, l’imposizione di misuri quali il suddetto Ordine, volto ad assicurare che le società coinvolte continuino a competere l'una con l’altra mentre l'indagine istruttoria della CMA è in corso. L’Ordine quindi richiede che la parte notificante proceda a fornire periodici aggiornamenti, i quali sono ritenuti cruciali per garantire alla CMA un reale controllo del comportamento delle società in tale fase e per assicurare che le stesse non intraprendano azioni atte a pregiudicare l’esito dell’istruttoria.
Secondo quanto accertato dalla CMA, Facebook – nonostante i ripetuti solleciti ricevuti – avrebbe deliberatamente mancato di fornire questi aggiornamenti, in tal modo violando l’Ordine. Di conseguenza, la CMA le ha irrogato una multa di 50 milioni di sterline.
Inoltre, la CMA ha altresì multato Facebook per un ammontare di ulteriori £ 500.000 per aver sostituito il suo Chief Compliance Officer in due occasioni separate senza chiedere prima il consenso della CMA stessa.
Con la decisione in esame la CMA ha quindi ribadito il proprio ruolo nel controllo delle concentrazioni in un sistema – come quello britannico – di natura ancora oggi ‘volontaria’ (ossia, in cui le società coinvolte non devono necessariamente notificare le operazioni di concentrazione) e l’importanza del rispetto delle procedure funzionali all’esercizio di tale controllo preventivo.
Luca Feltrin
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Diritto della concorrenza e dei consumatori - Italia / Intese e settore della gestione dei rifiuti - Il Consiglio di Stato accoglie il ricorso dell’AGCM e riforma la sentenza del TAR Lazio che aveva rideterminato le sanzioni applicate a Società Estense Servizi Ambientali
Con la sentenza del 20 ottobre 2021, il Consiglio di Stato (CdS) ha riformato la decisione del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR), n. 11987/2017, che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla Società Estense Servizi Ambientali S.p.A. (Sesa) nei confronti del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) n. 25589 del 29 luglio 2015. Con tale provvedimento, l’AGCM aveva sanzionato Sesa, insieme ad altre tre società (Ni.Mar S.r.l, Nuova Amit S.r.l e Fertitalia S.r.l,) per un’intesa restrittiva della concorrenza avente ad oggetto il coordinamento per la partecipazione ad una gara svoltasi nel 2013.
In particolare, a seguito di una segnalazione, l’AGCM aveva aperto un’istruttoria per verificare l’esistenza di un presunto cartello relativo alla partecipazione ad una gara indetta da Ecoambiente S.r.l. La gara, che riguardava la gestione del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti “umido organico” e “verde”, divideva gli incarichi da affidare in quattro lotti e prevedeva delle regole particolarmente stringenti in relazione alla distanza degli impianti che i partecipanti dovevano avere dal baricentro del lotto stesso. Ciascuna parte, pur avendo i requisiti per partecipare alla selezione di più lotti, aveva insolitamente concorso alla gara relativa ad un solo lotto. Inoltre, come emerso durante l’istruttoria, l’AGCM aveva constato che vi erano stati incontri tra le società nel periodo intercorso tra l’apertura del bando e la chiusura dello stesso. Al termine del procedimento, l’AGCM aveva accertato, sulla base dell’anomalo comportamento di gara e sull’esistenza di incontri tra le imprese interessate che i comportamenti posti in essere dalle medesime parti non erano altrimenti spiegabili se non in ragione dell’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, procedendo ad irrogare sanzioni.
L’AGCM aveva quindi calcolato l’importo base della sanzione partendo da quanto dovuto per i due anni di rapporto effettivamente intercorsi tra le parti e la stazione appaltante, nonostante il bando di gara ne prevedesse originariamente uno solo. A tal proposito, ad avviso dell’AGCM la proroga al secondo anno del servizio risultava largamente anticipabile dalle imprese partecipanti, tenuti anche in considerazione i tempi tecnici per la stazione appaltante per l’indizione di una nuova procedura di gara.
Inoltre, a sostegno dell’applicazione della c.d. entry fee del 15% l’AGCM aveva rilevato che:
- l’ambito del “mercato rilevante” coincideva col bacino provinciale servito da Ecoambiente oggetto della gara;
- la mancanza di prove circa la causalità degli incontri e del comportamento delle società idonee a superare la presunzione di pratica concertata discendente dai medesimi;
- il fatto che le parti avrebbero dovuto aspettarsi che più imprese avrebbero partecipato all’assegnazione di più lotti e, possedendone i requisiti, razionalmente avrebbero dovuto partecipare esse stesse all’assegnazione di più lotti, anziché ad una soltanto come di fatto è avvenuto.
Il TAR Lazio, adito da parte di Sesa, ne aveva accolto parzialmente il ricorso, ridimensionando la sanzione inflitta dall’AGCM nella misura in cui quest’ultima aveva calcolato l’intero periodo di svolgimento del rapporto anziché di un solo anno (oggetto della gara), tenuto conto che la proroga avrebbe dovuto considerarsi come “eventuale”. Inoltre, il TAR aveva contestato l’applicazione della maggiorazione del 15%, sulla base di una carenza motivazionale in ordine alla ricorrenza dei presupposti per detta applicazione.
L’AGCM aveva appellato chiedendo al CdS la riforma parziale della sentenza di primo grado, altresì appellata (in via incidentale) da Sesa.
L’appello incidentale di Sesa è stato respinto in toto, in quanto il CdS non ha potuto ritenere fondate le censure che lamentavano in primis un’erronea delimitazione del mercato rilevante e l’insussistenza di una adeguata dimostrazione della contestata infrazione. In particolare, secondo il CdS, trattandosi nel caso di specie di un’intesa restrittiva della concorrenza “per oggetto”, l’AGCM non era tenuta a dimostrare l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato; inoltre pare privo di fondamento ritenere, come si sosteneva nell’appello incidentale, che l’attività istruttoria svolta dall’Autorità fosse stata inadeguata o insufficiente, giacché si rileva che nel corso del procedimento tutti gli elementi probatori siano stati attentamente e analiticamente individuati. Per quanto concerne la definizione di mercato rilevante - erronea, secondo Sesa, per il fatto che l’intesa contestata avesse una mera dimensione locale e non fosse dunque idonea a alterare la concorrenza nazionale o comunque di una parte rilevante del mercato - il CdS ha precisato che anche una porzione ristretta del territorio nazionale può assurgere a mercato rilevante qualora l’incontro di domanda e offerta abbia luogo in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui.
È stato invece accolto il ricorso dell’AGCM, nella misura in cui è stato rilevato che la proroga, seppure non certa, era una possibilità nota alle partecipanti, tant’è che al momento della formulazione delle offerte economiche le stesse avrebbero dovuto considerare anche questo periodo di proroga eventuale. Allo stesso modo, l’applicazione dell’entry fee è stata ritenuta proporzionale non solo con riguardo al suo fine di deterrenza ma anche perché i cartelli che, come in questo caso, hanno natura di ripartizione dei mercati, sono considerati tra le più gravi ipotesi di intesa. Le stesse Linee Guida dell’AGCM prevedono che in riferimento alle più gravi restrizioni della concorrenza possa essere applicato l’ammontare supplementare compreso tra il 15% e il 25% del valore delle vendite di beni o servizi oggetto dell’infrazione.
In conclusione, il CdS, accogliendo il ricorso dell’AGCM, ha riformato la sentenza di primo grado, sancendo una vittoria significativa per quest’ultima soprattutto in punto di definizione del mercato e quantificazione della sanzione.
Alessia Delucchi
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Pratiche commerciali scorrette e dispositivi medici – L’AGCM ha sanzionato per un ammontare di €450.000 le società che vendevano le mascherine U-Mask
Con la decisione del 22 ottobre scorso (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) – concludendo un procedimento istruttorio avviato in data 9 febbraio 2021 (il Procedimento) – ha sanzionato per un ammontare complessivo di €450.000 le società U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air Zone Italy S.r.l. (congiuntamente, le Parti) per aver adottato due pratiche commerciali scorrette a danno dei consumatori nella promozione e commercializzazione delle mascherine chirurgiche biotech denominate ‘U-Mask’.
In via preliminare, per meglio chiarire il contesto in cui è stata adottata la Decisione, i dispositivi medici facciali si suddividono in diverse categorie, determinate sulla base del livello di protezione batterica ‘in entrata’ e ‘in uscita’ effettivamente offerto.
In particolare, i dispositivi di Tipo 1 (ossia, le comuni mascherine chirurgiche cc.dd. FFP1), devono garantire un’efficace filtrazione delle particelle batteriche verso l’esterno. In altre parole, il loro compito principale è quello di evitare che chi le indossa contamini l’ambiente circostante, mancando invece di proteggere il soggetto interessato dagli agenti esterni. I dispositivi di protezione individuale di Tipo 2 e di Tipo 3 (FFP2 e FFP3), invece, sono dispositivi facciali filtranti concepiti non solo per evitare contaminazioni dell’ambiente esterno da parte dell’utilizzatore ma anche per proteggere quest’ultimi da agenti esterni. In aggiunta, tutti i dispositivi in esame devono necessariamente essere iscritti nella Banca dati istituita presso il Ministero della Salute (il Ministero), al fine di essere immessi in commercio. Come si vedrà, tuttavia, tale registrazione non costituisce, né è equiparabile ad, una approvazione ministeriale.
Una volta chiarito il contesto di riferimento, qui di seguito verranno illustrate le condotte sanzionate dall’AGCM:
(i) la prima pratica in rilievo concerne il modo in cui le Parti hanno promosso la vendita delle mascherine. Come accertato nella Decisione, infatti, queste ultime, per un periodo di tempo di oltre un anno, hanno indebitamente equiparato le versioni ‘Model 2’, ‘Model 2.1’ e ‘Model 2.2.’ delle U-Mask – registrate come dispositivi medici FFP1 – a dispositivi di protezione individuale di classe superiore (ossia, FFP2 e FFP3), attribuendo alle stesse delle qualità (come ad esempio proprietà virucide ed un’efficacia filtrante di oltre 200 ore), asseritamente certificate da test svolti dalle Parti in autonomia e adottando parametri non conformi. Sul punto, l’AGCM ha in particolare soffermato la propria attenzione sul fatto che le Parti – sia nelle FAQs presenti sul sito web, sia per il tramite delle risposte fornite dal proprio customer service – facevano riferimento alla suindicata (dovuta) registrazione presso la Banca dati del Ministero equiparandola impropriamente ad una ‘approvazione’ da parte dello stesso e dell’Istituto Superiore di Sanità (cosa, in realtà, mai avvenuta), così da fornire ai consumatori un’indebita e decettiva rassicurazione sull’efficacia del proprio prodotto. In ultimo, l’AGCM ha altresì sottolineato come l’equiparazione con i dispositivi FFP2 e FFP3 risultava ulteriormente ‘giustificata’ – secondo le Parti – dall’esistenza di test svolti in autonoma dalle stesse (in aggiunta a quelli previsti ex lege). Tuttavia, com’è emerso dagli accertamenti istruttori effettuati durante il Procedimento, i risultati di tali test erano estremamente variabili a seconda delle scelte operate in concreto dal laboratorio di riferimento. Pertanto, le informazioni comunicate ai consumatori erano fornite in maniera parziale e non contestualizzata, in quanto non accompagnate da confronti con risultati ottenuti con diverse metodologie;
(ii) la seconda pratica scorretta accertata, a sua volta, ha trovato espressione nel fatto che fino al 26 febbraio 2021 le condizioni generali di contratto applicabili – presenti sul sito web italiano delle U-Mask – erano disponibili al consumatore (sul sito web delle Parti) esclusivamente in lingua inglese. Tale condotta era suscettibile – ad avviso dell’AGCM - di impedire ai consumatori di comprendere in maniera chiara ed immediata la disciplina contrattuale che andavano ad accettare al momento dell’acquisto delle U-Mask, così inducendoli in errore con riguardo ai rispettivi diritti e obblighi e agli elementi essenziali dell’offerta. Analoghe considerazioni valgono in merito al fatto che le Parti hanno eletto le Corti di Galles ed Inghilterra quali fori a giurisdizione esclusiva per qualsiasi controversia con i consumatori relativa al prodotto.
Con la Decisione in esame, l’AGCM ha quindi voluto ancora una volta ribadire in maniera chiara il principio fondamentale secondo cui i consumatori devono essere posti in grado non solo di comprendere le condizioni contrattuali che vanno a sottoscrivere ma devono anche essere soggetti a claim pubblicitari veritieri e non ingannevoli, specialmente se si riferiscono a prodotti relativi a esigenze particolarmente rilevanti come i dispositivi medici.
Luca Feltrin
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Appalti, concessioni e regolazione /Procedure ad evidenza pubblica e settore dei lavori edili – Il Consiglio di Stato rimette all’Adunanza Plenaria il tema delle modifiche nella composizione soggettiva dei RTI
In data 18 ottobre 2021, con ordinanza n. 6959/2021, la V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria la dibattuta questione interpretativa se sia ammessa o meno la modifica soggettiva, in corso di gara, del raggruppamento temporaneo di imprese (RTI o raggruppamento) per sopravvenuta perdita dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 del Codice dei contratti pubblici in capo ad uno o più suoi componenti.
Il contenzioso da cui trae origine la rimessione in commento riguarda una gara per l’affidamento di lavori di ampliamento stradale bandita da Autostrade per l’Italia S.p.A. (Autostrade). Il raggruppamento classificatosi primo in graduatoria veniva escluso a causa della sopravvenuta carenza, in corso di gara, dei requisiti di ordine generale in capo ad una delle sue imprese mandanti. Autostrade disponeva l’esclusione nonostante il RTI, pur privato dell’apporto della mandante, fosse ad ogni modo nelle condizioni e nel possesso dei requisiti idonei alla esecuzione dell’appalto. Il raggruppamento impugnava, dunque, il provvedimento e il Tar Toscana (Tar), con la sentenza n. 217/2021, accoglieva il ricorso e la prospettazione del RTI ricorrente che la modifica soggettiva in corso di gara di un raggruppamento, purché in senso riduttivo (ossia senza l’ingresso di nuovi soggetti nel RTI), sia legittima anche nel caso in cui derivi dalla perdita dei requisiti di cui all’art. 80 di uno dei suoi componenti. In tale contesto, il RTI controinteressato ha impugnato la sentenza di primo grado dinanzi al Consiglio di Stato deducendo che, contrariamente a quanto statuito dal Tar, tale modifica soggettiva sia consentita solo in fase di esecuzione di un appalto già aggiudicato e non anche in fase di gara.
L’oggetto del contendere riguarda l’interpretazione dei commi 17 e ss. dell’art. 48 del Codice dei contratti pubblici. Le disposizioni citate, infatti, consentono entro certi limiti la modifica soggettiva dei raggruppamenti in svariate ipotesi, quali trasformazioni societarie oppure, per quel che in questa sede maggiormente interessa, “in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80” da parte delle imprese che compongono i medesimi raggruppamenti. Tutte queste ipotesi di modifica soggettiva erano inizialmente (ossia nei primissimi tempi di applicazione del Codice dei contratti pubblici) limitate alla sola fase esecutiva degli appalti. In altre parole, era pacifico che esse fossero ammesse soltanto se la modifica interveniva quando l’appalto era stato già aggiudicato e se ne stava dando esecuzione (ossia, non nelle more dell’assegnazione della commessa). Il legislatore, tuttavia, è intervenuto introducendo, nel corpo del medesimo articolo, il comma 19-ter che ha stabilito che “le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara”.
In tale quadro normativo, si è posta (e si pone) la questione interpretativa sottoposta all’Adunanza Plenaria: se il citato comma 19-ter, nella parte in cui dispone l’estensione applicativa delle modifiche soggettive di cui ai commi precedenti anche alla fase di preaggiudicazione (e non solo a quella esecutiva), possa riferirsi anche all’ipotesi di modifica soggettiva dovuta alla perdita dei requisiti generali di uno dei componenti del RTI. In senso contrario, infatti, deporrebbe l’inciso “in corso di esecuzione”, sopra evidenziato, che sembrerebbe opporre un ostacolo testuale all’estensione applicativa di tale modifica soggettiva alla fase di gara, limitandola alla sola fase di esecuzione della commessa. D’altra parte, tuttavia, non sono immediatamente intellegibili le ragioni di politica del diritto che giustificano una peculiarità di una tale ipotesi di modifica soggettiva rispetto ad altre fattispecie. In altri termini, si profila un contrasto tra interpretazione letterale e interpretazione sistematica e/o teleologica.
Il Collegio remittente ha pertanto individuato l’esistenza di un contrasto interpretativo in seno alla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato che motiva la richiesta di intervento nomofilattico da parte dell’Adunanza Plenaria. Di qui l’ordinanza in commento, che passa esaustivamente in rassegna gli indirizzi interpretativi sviluppatisi sul tema e le relative ragioni.
In attesa della pronuncia del massimo organo della giustizia amministrativa, è da accogliere con favore la rimessione in commento, a cui si auspica seguirà un intervento risolutore della questione interpretativa qui prospettata. Ne trarrebbero beneficio gli attori del mercato delle commesse pubbliche (imprese concorrenti e stazioni appaltanti) in relazione, peraltro, all’ambito di operatività di un istituto – il RTI – che è un prezioso strumento di estensione della partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e, dunque, di potenziamento della concorrenza.
Alessandro Paccione
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