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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza Italia / Concentrazioni e settore bancario – L’AGCM ha dato il via all’acquisizione del controllo esclusivo di Banca Carige da parte di Bper Banca a seguito della cessione da parte di quest’ultima di 48 filiali a Banco di Desio e della Brianza
Con il provvedimento pubblicato lo scorso 31 maggio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato l’acquisizione del controllo esclusivo di Banca Carige S.p.A. (Carige) da parte di Bper Banca S.p.A. (Bper, e congiuntamente a Carige, le Parti) a seguito della cessione da parte di quest’ultima di un ramo di azienda composto da 48 filiali a favore di Banco di Desio e della Brianza S.p.A. (Banco Desio). Di queste filiali, 13 sono localizzate in Sardegna, 19 in Liguria, 4 in Toscana, 7 in Emilia-Romagna e 5 nel Lazio.
L’operazione è stata approvata in fase I, ossia senza l’avvio di una istruttoria approfondita (c.d. Fase II) in virtù del fatto che le parti, consapevoli dei rischi concorrenziali potenziali che la stessa avrebbe potuto determinare, hanno previsto la cessione delle filiali relative come parte integrante della concentrazione.
Il 14 febbraio scorso Bper ha sottoscritto un contratto con il Fondo Interbancario di Tutela Depositi e con lo Schema Volontario di Intervento del Fondo Interbancario, in quanto azionisti di maggioranza della società target, per l’acquisizione del 79,981% del capitale di Carige. Oltre ad essere sospensivamente condizionata all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni dell’AGCM e della Banca Centrale Europea (BCE), l’operazione prevede altresì l’obbligo in capo all’acquirente di promuovere un’offerta pubblica di acquisto (OPA) sulle restanti partecipazioni (ai sensi dell’articolo 106 TUF), nonché la cessione delle predette filiali come parte integrante dell’operazione stessa.
Nel valutare la concentrazione l’AGCM ha ripercorso l’analisi dei mercati che caratterizzano l’attività bancaria tradizionale, distinguendo tra la raccolta del credito, avente dimensione provinciale, e il mercato degli impieghi; quest’ultimo è sua volta suddivisibile in vari segmenti, tra i quali figurano quelli a dimensione provinciale degli impieghi a favore di famiglie consumatrici, famiglie produttrici e imprese di piccole dimensioni, nonché quello a dimensione regionale degli impieghi a favore delle imprese medio grandi e quello a dimensione nazionale degli impieghi a favore di enti pubblici. L’AGCM ha ritenuto che in tutti questi mercati l’entità risultante dall’operazione non presenta criticità dal punto di vista concorrenziale in quanto l’elevata concentrazione nelle province sarde risulta annullata dalla cessione della totalità degli sportelli di Bper ivi presenti e dalla conseguente eliminazione di qualsiasi sovrapposizione, mentre nelle altre province analizzate la quota congiunta risultante è tendenzialmente inferiore al 25%. L’AGCM è quindi giunta a simili conclusioni anche relativamente al mercato del risparmio amministrato, strettamente correlato ai precedenti.
Con riferimento al risparmio gestito, premessa la distinzione tra fase di gestione, analizzata a livello nazionale, e fase di distribuzione a valle, di livello provinciale, l’AGCM ha rilevato come entrambe le Parti siano attive solo nella fase distributiva della gestione di fondi comuni di investimento, nonché della gestione su base individuale di patrimoni mobiliari e di fondi, e della gestione di prodotti di previdenza complementare nella particolare forma dei fondi pensionistici aperti. Nonostante le sovrapposizioni orizzontali, anche in tali mercati non sono stati ravvisati profili di criticità per la concorrenza. Con riferimento al mercato del credito al consumo, invece, le parti sono entrambe presenti nel solo segmento regionale del credito diretto, ove tuttavia, la quota congiunta delle Parti non supera la misura del 15%. Limitate quote di mercato post-concentrazione, nonché l’ampia presenza di concorrenti, sono state riscontrate dall’AGCM anche nel mercato nazionale dell’emissione di carte di pagamento (sia per il segmento delle carte di credito, sia per quello delle carte di debito) e nel mercato del convenzionamento degli esercenti (sia wholesale, sia retail), risultando pertanto entrambi non critici.
Infine, con riferimento al mercato dei prodotti assicurativi, ottenuto il parere favorevole dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS) e premessa la canonica distinzione tra ramo vita e ramo danni, nonché tra il segmento nazionale della produzione e quello locale della distribuzione di tali prodotti, l’AGCM ha rilevato come entrambe le Parti siano presenti unicamente in quest’ultimo segmento, non eccedendo congiuntamente il 15% in alcuno dei due rami.
Ad esito di una convenzionale, sebbene articolata, analisi dei mercati connessi all’attività bancaria, l’AGCM non vi ha rilevato alcun profilo di criticità concorrenziale. L’AGCM ha infatti ritenuto che la pre-programmata cessione delle filiali quale elemento integrante dell’operazione sia stata un fattore essenziale per sterilizzare i potenziali effetti anticoncorrenziali. Ciò dimostra l’utilità di una accurata pianificazione preventiva anche sotto il profilo antitrust al fine di evitare sorprese che possono incidere sull’equilibrio economico-contrattuale di una operazione, anche avvalendosi di una interazione di c.d. pre-notifica con l’AGCM.
Niccolò Antoniazzi
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Abusi di posizione dominante e settore farmaceutico – L’AGCM sanziona il gruppo Leadiant per 3,5 milioni di euro per abuso di posizione dominante
Con il provvedimento pubblicato lo scorso 31 maggio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per un totale di 3,5 milioni di euro Essetifin S.p.A., Leadiant Biosciences Ltd., Leadiant GmbH e Sigma-Tau Arzneimittel GmbH (congiuntamente, Leadiant) per abuso di posizione dominante nel mercato nazionale della produzione e vendita di farmaci a base di acido chenodesossicolico (CDCA) utilizzati per la cura di una malattia ultra-rara denominata xantomatosi cerebrotendinea (CTX). In particolare, l’AGCM ha contestato a Leadiant l’imposizione di prezzi ingiustificatamente gravosi a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per la vendita del farmaco orfano salva-vita denominato CDCA Leadiant® (CDCA Leadiant®).
Dall’istruttoria condotta dall’AGCM è emerso che, al fine di ottenere la designazione ‘orfana’ di un farmaco a base di CDCA per la cura del CTX, Leadiant, sin dal 2007, avrebbe attuato una strategia abusiva complessa. Secondo le ricostruzioni effettuate, Lediant deterrebbe una posizione dominante nella produzione e vendita di farmaci a base di CDCA in tutta Europa grazie: i) alla fuoriuscita spontanea di molti concorrenti da questo mercato; ii) alla stipula di un contratto di esclusiva con il principale fornitore dell’input necessario per la produzione del CDCA; iii) e infine all’acquisto, nel 2008, dei diritti di distribuzione dell’unico farmaco disponibile in Europa a base di CDCA, ossia il Chenofalk®, successivamente denominato Xenbilox® (Xenbilox®). Tale ultimo acquisto sarebbe stato decisivo per due motivi: in primo luogo, avendo avuto accesso al dossier di tale farmaco, Leadiant veniva a conoscenza del know-how necessario per creare il ‘nuovo’ farmaco orfano; inoltre, la vendita dello Xenbilox® accompagnata da una strategia graduale di aumento del prezzo di vendita (c.d. step price increase) avrebbe, da un lato, finanziato gli ulteriori studi necessari ad integrare il dossier per la presentazione della domanda di designazione di “farmaco orfano” e, dall’altro lato, avrebbe preparato il mercato al prezzo (giudicato “eccessivo”) del futuro farmaco orfano. Solamente il 10 aprile 2017, Leadiant otteneva la designazione di “farmaco orfano” del CDCA Leadiant®.
Con specifico riferimento al mercato nazionale, Leadiant aveva quindi introdotto il farmaco orfano CDCA Leadiant® nel giugno 2017 presentando, sempre nello stesso mese, all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) la richiesta di rimborsabilità e di classificazione del CDCA Leadiant® con un prezzo al pubblico pari a euro 25.592,64 (e un prezzo ex factory di euro 15.506,93) per una confezione da 100 capsule da 250 mg. Sin dalle prime battute della negoziazione, l’AIFA aveva ritenuto il prezzo non giustificato né alla luce dei costi (che Leadiant non avrebbe mai fornito nel dettaglio nonostante le numerose sollecitazioni) né alla luce delle attività svolte per ottenere la registrazione del farmaco orfano né, infine, alla luce del valore terapeutico del medicinale. Invero, l’istruttoria condotta in seguito dall’AGCM ha fatto emergere una strategia di differenziazione (c.d. brand differentiation) del farmaco orfano CDCA Leadiant® dallo Xenbilox® creata al solo scopo di mascherare in realtà un mero “repurposing” di un farmaco già esistente ma prescritto off-label per la cura della CTX.
Infatti, dai documenti raccolti nel corso dell’istruttoria relativi a Leadiant, sarebbe emersa un’apposita strategia volta ad evitare che i due farmaci fossero ricondotti l’uno all’altro (infatti, Leadiant avrebbe ritirato lo Xenbilox® dal mercato poco prima del perfezionamento del farmaco orfano CDCA Leadiant®) e alla medesima società (Leadiant avrebbe costituito una nuova società appositamente per attribuirle la titolarità del farmaco orfano), in modo da evitare le difficoltà che sarebbero insorte laddove le autorità di regolazione avessero chiesto di giustificare il prezzo così elevato.
Inoltre, il comportamento abusivo di Leadiant sarebbe stato integrato da un atteggiamento dilatorio e ostruzionistico nei confronti dell’AIFA, la quale si trovava in una posizione di debolezza negoziale già insita nel solo fatto che la contrattazione aveva ad oggetto il prezzo di un farmaco salva-vita non altrimenti reperibile sul mercato. Invero, seppur in assenza di un accordo sul prezzo tra Leadiant e l’AIFA, il farmaco orfano è stato comunque commercializzato nel mercato domestico ma secondo le regole della c.d. classe “C non negoziata”, ovvero ad un prezzo liberamente fissato da Leadiant pari a euro 169.000,00 all’anno a carico di ciascun paziente. Da qui l’urgenza della finalizzazione dell’accordo volto a calmierare i prezzi il quale è stato raggiunto solo un anno e mezzo dopo nel dicembre 2019.
Tuttavia, nonostante tale negoziazione, l’analisi sui prezzi effettuata dall’AGCM, conformemente alla giurisprudenza United Brands e in applicazione di due ulteriori metodologie – di cui, l’una avente natura finanziaria (che prende in considerazione il tasso interno di rendimento del progetto realizzato) e l’altra avente natura contabile (che si basa sul raffronto tra i ricavi di vendita realizzati applicando il prezzo di cui si valuta l’eccessività e il c.d. cost plus corrispondente ai costi, diretti e indiretti, sostenuti dall’impresa dominante) – ha rilevato l’eccessività dei prezzi di vendita, non giustificati rispetto ai costi di produzione del farmaco orfano e applicati al solo fine di trarre un vantaggio economico.
Data la dimensione pan-europea della vicenda, il caso è stato già oggetto di indagine da parte di diverse autorità nazionali, tra cui quella olandese, spagnola e israeliana. Il caso in esame si inserisce nel filone relativi ai casi di c.d. excessive pricing che hanno caratterizzato il settore farmaceutico nell’Unione Europea e nel Regno Unito negli ultimi anni. La metodologia utilizzata per dimostrare quando un prezzo è “eccessivo” – certamente la prova più complicata che una autorità deve fornire in questa tipologia di casi di abuso da sfruttamento - sarà verosimilmente sottoposta al vaglio del giudice amministrativo e rappresenta l’aspetto più interessante della decisione in parola.
Maria Spanò
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Bid rigging e mercato dei radiofarmaci per la diagnostica – L’AGCM ha aperto un procedimento istruttorio al fine di determinare l’esistenza di una pratica collusiva tra le imprese attive nel mercato italiano della produzione e commercializzazione di radiofarmaci per diagnostica
Con il provvedimento datato 29 marzo 2022 (ma pubblicato solo lo scorso 30 maggio) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato nei confronti dei principali attori attivi nel mercato italiano dei radiofarmaci per la diagnostica utilizzati per la tomografia ad emissioni di positroni (PET) (ossia, Advanced Accelerator Applications S.r.l. (AAA); Curium Italy S.r.l. (Curium); ITEL Telecomunicazioni S.r.l. (ITEL); GE Healthcare Italia S.r.l. (GE Healthcare) e ACOM – Advanced Center Oncology Macerata S.r.l. (ACOM)), le rispettive società controllanti, nonché la relativa associazione di categoria (ossia, l’Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare (AIMN)) (congiuntamente, le Parti) un procedimento atto a verificare la possibile sussistenza di una condotta anticoncorrenziale di bid rigging in violazione dell’articolo 101 TFUE (il Procedimento).
Come si evince dal provvedimento di avvio, l’AGCM intende accertare se le Parti hanno effettivamente posto in essere una “intesa unica, complessa e continuata” – che sarebbe iniziata, da quanto si evince, nel 2005 ed attualmente ancora in corso – atta a garantire una ripartizione delle gare svolte a livello nazionale per la produzione e distribuzione a favore degli ospedali pubblici e delle cliniche privati dei summenzionati radiofarmaci. Quest’ultimi, in particolare, sono radioisotopi emittenti di positroni prodotti per il tramite di un macchinario particolare denominato ‘ciclotrone’ (ovvero, un acceleratore di particelle nucleari), utilizzati nell’ambito della medicina nucleare in quanto – tramite l’emissione di impulsi radioattivi – permettono, una volta inseriti nel corpo del paziente tramite iniezione o assunzione orale, di fornire un’immagine precisa della fisiologia, della biochimica e dell’anatomia patologica dello stesso senza tuttavia alterarne le funzioni.
Tra i prodotti per cui l’AGCM sembra mostrare particolare interesse, si annoverano il fluorodesossiglucosio (FDG), la fluorocolina (FCH) e il Dopaview (F-Dopa), utilizzati per la succitata PET. Questa è una tecnologia di imaging che permette – tra le altre cose – l’individuazione precoce dei tumori, la verifica dello stadio della malattia nonché l’efficacia della terapia adottata. A causa della loro natura radioattiva, i radiofarmaci PET sono considerati ‘prodotti viventi’ con un tempo di conservazione decisamente breve. Il loro livello di radioattività, infatti, diminuisce nel tempo (dimezzandosi ogni paio d’ore ed esaurendosi del tutto in 10-12 ore). Tale aspetto ha effetti sulla logistica e fornitura, in quanto il trasporto di tali prodotti non può eccedere le 5 ore.
Il provvedimento di avvio da atto del significativo processo di concentrazione sperimentato dal mercato in esame negli ultimi anni, il quale ha ridotto sensibilmente il numero di operatori attualmente attivi in Italia. Curium ha acquisito – rispettivamente nel 2018 e nel 2021 – il ramo d’azienda di ACOM specializzato nella produzione di radiofarmaci e successivamente la società IASON GmbH (società di diritto austriaco attiva nel Nord-est Italia). AAA, invece, nel 2014 ha acquisito il ramo d’azienda di GE Healthcare attivo nella produzione di radiofarmaci PET in Italia ed è, quindi, subentrata anche nell’accordo di licenza che questa aveva con ITEL, la quale attualmente ha il diritto esclusivo di produrre e commercializzare tutti i prodotti PET di AAA in Puglia, Calabria e Basilicata.
Alla luce di quanto sopra, l’AGCM intende accertare se le Parti hanno posto in essere la suindicata condotta collusiva. Quest’ultima, in particolare, sembrerebbe aver avuto luogo attraverso un generale coordinamento delle rispettive strategie commerciali in relazione alle gare indette dalle diverse stazioni appaltanti attive a livello regionale e non. Le Parti, infatti, avrebbero a tal fine fatto ricorso in maniera impropria e con fini illeciti ad istituti legittimamente previsti dal diritto amministrativo come le “associazioni temporanee di imprese” (ATI), il subappalto, l’avvalimento ed i cc.dd. accordi di ‘back-up’.
Per quanto concerne questi ultimi, il provvedimento di avvio evidenzia che la produzione di radiofarmaci richiede l’utilizzo di un ciclotrone, il quale richiede necessariamente dei fermi produttivi programmati per ragioni manutentive, nonché la possibilità di interventi correttivi non pianificati. Durante entrambi questi fermi la produzione è completamente sospesa. Tali accordi di cooperazione hanno la funzione primaria di permettere di fare fronte a tali periodi di fermo, in quanto garantiscono la continuazione delle forniture da parte dell’impresa che ha subito il fermo, acquistando il prodotto dal concorrente. Sul punto, tuttavia, l’AGCM ritiene che le Parti avrebbero utilizzato tali accordi “oltre i limiti di quanto è strettamente ed oggettivamente necessario per far fronte alle esigenze di continuità delle forniture”, ossia relativamente a situazioni di fermo oggettivamente non evitabili.
Occorrerà attendere il termine del Procedimento al fine di determinare la sussistenza della menzionata pratica anticoncorrenziale. Il Provvedimento in esame riconferma l’elevato livello d’attenzione dell’AGCM a possibili pratiche collusive interessanti, in particolare, settori caratterizzate da gare pubbliche d’appalto come quello sanitario.
Luca Casiraghi
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Intese e settore dei servizi assicurativi RC Auto – L’AGCM ha accolto gli impegni presentati da numerose compagnie assicuratrici, fornitori di servizi di comparazione di polizze assicurative online e intermediari assicurativi con riferimento a possibili intese restrittive della concorrenza nel settore delle polizze RCA
Lo scorso 10 maggio 2022, con il Provvedimento n. 30156, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accolto gli impegni presentati dalle imprese soggette al Procedimento I856 (il Procedimento), consistenti nella limitazione e/o rimodulazione di alcune pratiche ritenute possibilmente in contrasto con l’art. 101 TFUE.
Il Procedimento riguardava il mercato della vendita diretta di polizze per la responsabilità civile auto (RCA), e aveva coinvolto un gran numero di imprese assicuratrici (Allianz Direct S.p.A., Bene Assicurazioni S.p.A., Compagnia Italiana di Previdenza, Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A., Compagnia Assicuratrice Linear S.p.A., Genertel S.p.A., HDI Assicurazioni S.p.A., QUIXA Assicurazioni S.p.A., Verti Assicurazioni S.p.A., Zurich Insurance Public Limited Company – Rappresentanza Generale per l’Italia, Zurich Insurance Company Ltd – Rappresentanza Generale per l’Italia – le Imprese Assicuratrici), di servizi di comparazione di polizze RCA online (CercAssicurazioni.it S.r.l., Daina Finance Ltd – Rappresentanza Generale per l’Italia, Facile.it, Broker di Assicurazioni S.p.A., 6 Sicuro S.p.A. – i Comparatori) e di intermediari assicurativi (B2C Innovation S.p.A., FIT S.r.l., Società Benefit, Prima Assicurazioni S.p.A., Admiral Intermediary Services S.A. – gli Intermediari).
Secondo l’AGCM, le imprese coinvolte avevano posto in essere un continuo scambio di informazioni circa le condizioni di vendita diretta delle polizze RCA (relative, per esempio, ai premi delle polizze RCA quotati sui portali di comparazione, al posizionamento delle imprese sui medesimi portali e ai dati dei consumatori che avevano formulato richieste di preventivo) sotto forma sia di report curati dai comparatori e destinati alle imprese assicuratrici e agli intermediari, sia tramite apposite sessioni di business review con i comparatori stessi.
Tale scambio di informazioni, dapprima ipotizzato come un’ipotesi di restrizione per oggetto, e successivamente derubricato come una possibile restrizione per effetto (in quanto non risultava unicamente volto alla fissazione di premi più elevati, ma anche alla formulazione di offerte più appetibili per i consumatori), si sarebbe potuto risolvere in danno ai consumatori finali di tali polizze, in quanto avrebbe potuto determinare sconti minori di quello che sarebbe avvenuto in assenza dell’intesa, grazie alla conoscenza reciproca delle condizioni di vendita offerte sui portali di comparazione.
Al fine di evitare un possibile accertamento di infrazione ai sensi dell’art. 101 TFUE, le imprese hanno sottoposto all’AGCM due pacchetti compositi di impegni (uno confezionato da Admiral S.p.A.; l’altro, condiviso da tutte le altre società – ma dal contenuto sostanzialmente coincidente, stante il carattere necessariamente multi-parte della pratica contestata), con i quali le imprese si impegnano a effettuare lo scambio di informazioni seguendo regole più stringenti.
In particolare, il primo gruppo di impegni prevede che:
(i) i dati contenuti nei report curati dai comparatori e destinati alle imprese assicuratrici non mostreranno informazioni identificative del preventivo o dell’utente che lo richiede;
(ii) le informazioni relative ai premi offerti dalle imprese assicuratrici e dagli intermediari mediante i comparatori saranno rese in forma anonima e aggregata, come media delle cinque quotazioni più economiche, verranno trasmesse con frequenza superiore a una settimana e saranno relative a preventivi creati almeno tre mesi prima rispetto all’invio;
(iii) potranno essere inviati, in forma disaggregata, i dati sui premi che (a) riguardino esclusivamente i cinque premi più economici, offerti tramite i Comparatori; (b) siano anonimizzati, non consentendo l’individuazione dell’Impresa Assicuratrice o dell’Intermediario cui si riferiscono; e (c) riguardino preventivi creati almeno sei mesi prima - ferma restando la possibilità, per ciascuna Impresa Assicuratrice o Intermediario di ricevere informazioni disaggregate sulle proprie quotazioni anche prima del decorso dei sei mesi, a condizione che non contengano dati e informazioni relative ad altri competitor;
(iv) potranno essere fornite alle Imprese Assicuratrici e agli Intermediari altre informazioni riguardanti la percentuale in cui il proprio prezzo è risultato come il più basso (Best price), informazioni generali riguardanti elementi diversi dai premi (come i tassi di conversione dei preventivi in polizze), purché in forma aggregata (per settore, per regione e/o per canale di vendita); inoltre, ciascuna impresa potrà ricevere informazioni proprie relative alla propria performance, in forma disaggregata.
Il secondo gruppo di impegni pone limiti alle attività di business review poste in essere tra i Comparatori e le Imprese Assicuratrici o gli Intermediari; con il terzo gruppo, le Imprese Assicuratrici e gli Intermediari si impegnano a non aderire a servizi di reportistica che prevedano modalità di elaborazione e/o circolazione delle informazioni non conformi ai criteri di cui al primo gruppo di impegni; infine, con il quarto e ultimo gruppo di impegni, le imprese si impegnano a garantire il c.d. level playing field, rendendo i report così elaborati a disposizione di Imprese Assicuratrici e Intermediari anche non attivi sul portale del singolo comparatore laddove ne facciano richiesta, a condizioni eque trasparenti e non discriminatorie.
Le misure proposte dalle società sono state ritenute sufficienti a far venire meno le perplessità concorrenziali nutrite dall’AGCM, in quanto i meccanismi di “minimizzazione”, aggregazione e anonimizzazione dei dati, unitamente ai parametri temporali adottati, pur salvaguardando l’interesse di ogni impresa a valutare l’efficacia della propria offerta in termini assoluti (ed entro certi limiti, anche in termini relativi), secondo l’AGCM garantiscono una sufficiente protezione nei confronti del rischio di una trasparenza indebita del mercato.
Il caso in questione è rilevante in quanto costituisce un’interessante ipotesi in cui gli aspetti pro-competitivi di un accordo, quale quello in esame, non soltanto hanno evitato la sua qualificazione come restrizione “per oggetto” ma hanno condotto l’AGCM all’accoglimento degli Impegni proposti anziché all’accertamento di una violazione della normativa antitrust. Resta da vedere se tale disponibilità sarà confermata in futuro e/o con riferimento ad altri mercati.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Concentrazioni e gun jumping – L’AGCM sanziona Dea Capital Alternative Funds SGR S.p.A. per inottemperanza agli obblighi di comunicazione preventiva delle concentrazioni
Con la decisione del 10 maggio 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha imposto una sanzione pari a 6.460,33 euro alla società Dea Capital Alternative Funds SGR S.p.A. (DEA Capital AF) per non aver ottemperato agli obblighi di comunicazione dell’operazione di acquisizione del controllo esclusivo della società Calvi Holding S.p.A. (Calvi), in violazione dell’art. 16, comma 1, della legge n. 287/90.
Il procedimento era stato avviato lo scorso 22 febbraio 2022. L’operazione oggetto del procedimento (come più diffusamente analizzato nella nostra Newsletter del 21 marzo 2022) consisteva nel passaggio da una situazione di controllo congiunto sulla società Calvi Holding S.p.A. (Calvi), attiva a livello internazionale nel settore siderurgico, al controllo esclusivo di DEA Capital AF (l’Operazione). La situazione di controllo congiunto precedente all’Operazione, definitasi ad esito di una concentrazione approvata dall’AGCM nel gennaio 2019, era sorretta da un patto parasociale stipulato nel 2018 tra i precedenti soggetti che detenevano il controllo di Calvi, ossia DEA Capital AF, Calfin S.p.A. (Calfin) e altri soci persone fisiche. Ai sensi di tale patto parasociale: (i) DEA Capital AF deteneva il 51,32% dei diritti di voto esercitabili in assemblea, mentre il restante 48,7% dei diritti di voto era in capo a Calfin e agli altri soci; (ii) il Consiglio di Amministrazione di Calvi (il CdA) era composto da sette membri, di cui, fino al verificarsi di alcuni c.d. “eventi rilevanti” (non meglio definiti nel provvedimento dell’AGCM), cinque sarebbero stati designati da Calfin e dagli altri soci e due da DEA Capital AF; e, infine, (iii) alcune materie qualificate richiedevano l’approvazione con voto favorevole di almeno sei amministratori.
In base a quanto appreso dall’AGCM a seguito di una richiesta di informazioni inviata a DEA Capital AF lo scorso 21 dicembre 2021, dopo meno di un anno dalla stipula del patto parasociale di cui sopra, si sarebbero verificati una serie di eventi qualificabili come “rilevanti” ai sensi del medesimo patto, i quali avrebbero consentito a DEA Capital AF, a partire da novembre 2019, di esprimere in totale autonomia e senza vincoli il proprio diritto di voto nell’assemblea (pertanto, anche in relazione alla nomina del CdA e ad altre decisioni di carattere straordinario). Inoltre, a seguito di tali “eventi rilevanti”, il CdA non sarebbe più stato composto da sette membri ma, a partire da luglio 2021, da cinque membri tutti designati da DEA Capital AF. Pertanto, nell’ottica dell’AGCM, il consolidamento di tali poteri in capo a DEA Capital AF avrebbe determinato il passaggio da controllo congiunto a controllo esclusivo di DEA Capital AF su Calvi, ossia una nuova concentrazione, la quale tuttavia non sarebbe stata oggetto di comunicazione preventiva all’AGCM.
Nel corso del procedimento, DEA Capital AF ha tuttavia sostenuto che, nel caso di specie, sarebbero mancati sia l’elemento soggettivo, sia l’elemento oggettivo dell’infrazione rappresentata dalla mancata comunicazione preventiva. Sotto il primo profilo, DEA Capital AF ha evidenziato che la modifica del controllo esercitato su Calvi è avvenuta per effetto dell’automatica attivazione di un meccanismo negoziale del quale DEA Capital AF aveva dato piena informazione all’AGCM nel gennaio 2019, in sede di notifica di tale operazione, rendendo pertanto oggettivamente impossibile alla società sottoporre la valutazione dell’Operazione all’AGCM. In relazione al profilo soggettivo, DEA Capital AF avrebbe sottolineato l’assenza tanto di dolo, quanto di colpa. Infatti, da un lato, l’automatismo della realizzazione dell’Operazione in oggetto proverebbe l’assenza di qualsiasi profilo di intenzionalità nella condotta, mentre, dall’altro lato, DEA Capital ha sostenuto di aver acquisito la consapevolezza dell’esistenza dell’obbligo di notifica dell’operazione solo a seguito della richiesta di informazioni dell’AGCM, provvedendo dunque a notificare tempestivamente l’Operazione, oltre che a collaborare attivamente durante tutto il procedimento.
Le argomentazioni di DEA Capital AF non sono tuttavia state condivise dall’AGCM, la quale ha invece ritenuto, in relazione all’elemento oggettivo, che DEA Capital AF, al momento del verificarsi dell’“evento rilevante”, come indicato dai patti parasociali, versava nella piena conoscenza delle relative implicazioni e pertanto avrebbe dovuto procedere ad un’immediata notifica della modifica dell’assetto di controllo su Calvi. Quanto all’elemento soggettivo, pur escludendo che la condotta possa qualificarsi come dolosa, l’AGCM ha riscontrato il colpevole ritardo di DEA Capital AF nella comunicazione dell’operazione di concentrazione. Pertanto, l’AGCM ha irrogato a DEA Capital AF una sanzione pari a 6.460,33 euro.
La decisione in commento conferma ancora una volta la particolare attenzione riposta tanto dall’AGCM, quanto della Commissione europea e delle autorità antitrust degli Stati membri nei confronti delle violazioni procedurali della normativa sul controllo delle concentrazioni. La modesta sanzione irrogata riflette sia la mancanza di intenzionalità riscontrata, sia la obiettiva non problematicità concorrenziale della stessa. Ciò tuttavia non deve trarre in inganno, in quanto l’AGCM mantiene una potestà sanzionatoria elevata in caso di omessa notifica (pari nel massimo al 10% del fatturato delle attività di impresa oggetto della concentrazione): le imprese sono avvisate.
Luca Feltrin
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Legal news / Telecomunicazioni e concentrazione nel settore delle fibre ottiche – L’autorità antitrust danese ha autorizzato in Fase II una concentrazione tra Norlys Tele Service A/S e Verdo Tele A/S, rispettivamente uno dei principali proprietari di reti in fibra ottica del Paese e un concorrente
Lo scorso 25 maggio, l’Autorità Danese per la Concorrenza e i Consumatori (l’Autorità) ha autorizzato la concentrazione tra Tele Service A/S (Norlys) e Verdo Tele A/S (Verdo), due operatori attivi inter alia a diversi livelli nel settore delle telecomunicazioni.
Norlys è un operatore verticalmente integrato, proprietario di un’infrastruttura in fibra ottica che copre la gran parte della regione danese dello Jutland nonché attivo tramite la controllata Stofa A/S (Stofa) nella fornitura retail di servizi di telecomunicazione a banda ultralarga e di prodotti televisivi. Infine, il gruppo è altresì titolare della piattaforma OpenNet A/S (OpenNet), che opera come intermediario tra i proprietari di infrastruttura in fibra che desiderano vendere l’accesso all’infrastruttura e i fornitori di servizi di telecomunicazioni a banda ultralarga e di prodotti televisivi. Verdo è invece proprietario di una infrastruttura di rete in fibra ottica nelle zone di Randers e Hobro. Nel dicembre 2020, prima della concentrazione, Verdo aveva concluso un accordo con OpenNet per vendere tramite tale piattaforma l’accesso alla propria infrastruttura ai fornitori di servizi retail. A ciò ha fatto seguito la stipulazione di un service provider agreement tra Verdo e Stofa (come detto, controllata da Norlys), per l’utilizzo dei servizi all’ingrosso di Verdo da parte di Stofa. Alla data della concentrazione, quest’ultimo risultava l’unico operatore attivo sulla rete in fibra di Verdo.
Il rischio di un possibile effetto di preclusione concorrenziale all’accesso alla rete di Verdo da parte dei concorrenti di Norlys a seguito della concentrazione tra i due operatori verticalmente collegati è stata la principale criticità concorrenziale rilevata dall’Autorità. Preso atto che (i) l’accesso alla rete è un input essenziale per la fornitura dei servizi retail di cui sopra; (ii) per una parte sostanziale della rete in fibra di Verdo non esistono opzioni alternative; e, infine, (iii) i costi per la costruzione di un’infrastruttura concorrente a quella di Verdo sono elevati, l’Autorità ha ritenuto che l’entità risultante dalla concentrazione avrebbe avuto la capacità di precludere l’accesso al mercato ai concorrenti retail di Norlys. È stato ritenuto infondato l’argomento sollevato dalle parti circa l’esistenza di un obbligo di non discriminazione degli operatori retail imposto in via contrattuale a Verdo a seguito dell’accordo con la piattaforma OpenNet. Trattandosi di accordi commerciali, nulla esclude secondo l’Autorità che l’entità risultante dalla concentrazione nel lungo termine rescinda il contratto, e dunque ad esso non può essere attribuito un peso decisivo nella valutazione dell’impatto concorrenziale della concentrazione.
Dall’analisi dell’Autorità è altresì emerso che, oltre alla capacità di porre in essere un siffatto comportamento escludente, l’entità risultante dalla concentrazione avrebbe avuto anche l’incentivo a precludere il mercato ai concorrenti. Se infatti precedentemente alla concentrazione Verdo era attiva solo nel mercato wholesale, l’integrazione verticale dell’unico operatore attivo sulla rete di Verdo a livello retail con il proprietario della rete potrebbe spingere la neonata società a praticare prezzi più elevati ai concorrenti a livello retail per l’accesso alla rete o a ritardare il loro ingresso sull’infrastruttura di Verdo.
Non ha destato invece criticità la potenziale sovrapposizione orizzontale delle parti nel mercato dell’accesso all’ingrosso alle infrastrutture di rete in fibra, delimitato sul piano geografico dall’impronta del proprietario di rete. Benché infatti le parti siano entrambi attive a livello wholesale, le rispettive infrastrutture non si sovrappongono in quanto collocate in due zone diverse del Paese.
Al fine di sanare i profili di rischio individuati, l’Autorità ha subordinato l’autorizzazione alla concentrazione all’adozione di una serie di impegni, tra cui (i) l’obbligo di mantenere invariato per tre anni l’attuale modello di prezzi all’ingrosso per l’accesso alla rete di Verdo; (ii) l’obbligo di non ritardare indebitamente il processo di accesso degli operatori retail alla rete in fibra di Verdo, sia in relazione alla negoziazione del contratto, sia per l’integrazione tecnica; e infine (iii) l’impegno a tempo indeterminato di non discriminare tra operatori retail interni ed esterni al gruppo. Gli impegni adottati fanno salva la possibilità per Norlys di integrare la rete infrastrutturale di Verdo all’interno del perimetro societario di Norlys, non obbligando quest’ultima a mantenere Verdo come società indipendente. In tal caso è tuttavia imposto a Norlys il rispetto dei contratti vigenti con gli operatori retail al momento del trasferimento della rete.
La decisione dell’Autorità danese affronta temi già emersi da tempo anche in Italia, il cui mercato delle telecomunicazioni è stato a lungo caratterizzato dalla presenza di un operatore dominante verticalmente integrato attivo sia a livello wholesale, sia a livello retail. Stante il recente avvio a livello nazionale del processo di separazione fra la titolarità della rete e la fornitura di servizi sul piano retail, è lecito attendersi che la Commissione europea sarà presto chiamata a un’analisi analoga a quella dell’Autorità danese.
Alessandro Canosa
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