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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 29 aprile 2024

Diritto della concorrenza – Europa / FLASH – Foreign Subsidies Regulation e dawn raids – La Commissione europea ha condotto la prima ispezione a sorpresa

Lo scorso 23 aprile 2024 la Commissione europea (Commissione) ha reso noto di aver condotto – per la prima volta – ispezioni a sorpresa utilizzando i suoi poteri di ufficio ai sensi del Foreign Subsidies Regulation (FSR) (già oggetto di commento nella presente Newsletter). Ciò è avvenuto presso le sedi della società Nuctech (società da ultimo controllata dal Governo cinese) in Polonia e nei Paesi Bassi.

Le preoccupazioni della Commissione sono che Nuctech, attiva nella produzione di scanner di sicurezza per merci e persone, possa aver ricevuto sovvenzioni estere distorsive della concorrenza nel mercato interno.

Qualora la Commissione dovesse trovare sufficienti indizi dell’esistenza di sovvenzioni estere distorsive, aprirà di conseguenza un’indagine approfondita.

Fabio Bifarini

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Abusi e settore farmaceutico – La Commissione europea pubblica per il market test gli impegni proposti da Vifor Pharma nel contesto di un’indagine per abuso di posizione dominante

Lo scorso 22 aprile sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea ai fini del market test gli impegni presentati da Vifor Pharma Ltd., Vifor Pharma Management Ltd. e Vifor Pharma Deutschland GmbH (complessivamente, Vifor) nel contesto dell’indagine condotta dalla Commissione europea (Commissione) per asserito abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE, consistente nell’aver fornito agli operatori sanitari e ad altri potenziali acquirenti informazioni fuorvianti sulla sicurezza di un medicinale di un fornitore concorrente, Pharmacosmos A/S (Pharmacosmos), ostacolandone l’ingresso e/o la diffusione sul mercato. La Commissione ha invitato i terzi interessati a presentare osservazioni su tali impegni.

L’indagine della Commissione era stata aperta nel giugno 2022. Secondo le valutazioni preliminari di quest’ultima, Vifor deterrebbe una posizione dominante nella fornitura di medicinali per la somministrazione di ferro per via endovenosa in una serie di mercati nazionali dello Spazio economico europeo (SEE), ossia Austria, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Spagna, Finlandia, Irlanda, Portogallo e Romania. Monfer, unitamente al farmaco prodotto da Vifor – il Ferinject – sarebbero gli unici medicinali per la somministrazione di ferro per via endovenosa commercializzati nel SEE che possono essere somministrati rapidamente e in dosi elevate mediante infusione o iniezione rapida e, in quanto tali, sono considerati dalla Commissione l’uno il principale concorrente dell’altro. La Commissione riteneva che Vifor possa aver abusato della propria posizione dominante diffondendo informazioni fuorvianti sulla sicurezza del Monofer, medicinale commercializzato da Pharmacosmos, in particolare tramite due messaggi: Monofer i) avrebbe comportato gravi rischi storicamente associati a farmaci ritirati dai mercati europei negli anni ’90; ii) avrebbe provocato reazioni di ipersensibilità con maggior frequenza rispetto a Ferinject. Per la Commissione, tali messaggi sarebbero fuorvianti in quanto basati su informazioni inesatte o incomplete, capaci di confondere i destinatari e screditare il prodotto concorrente, senza una giustificazione oggettiva.

Con il provvedimento in commento, la Commissione ha ritenuto di presentare al market test gli impegni proposti da Vifor. In particolare, gli impegni sono volti a correggere e annullare gli effetti dei messaggi precedentemente diffusi ed impedire la diffusione di messaggi simili in futuro. Sotto il primo profilo, si prevede in particolare una campagna globale multicanale, in cui Vifor si impegna a diffondere messaggi chiarificatori ad un numero significativo di operatori sanitari ed altri soggetti negli Stati membri interessati tramite posta elettronica, posta e incontri, oltre che pubblicare in modo visibile sui siti web di Vifor tali comunicazioni per 36 mesi e nelle principali riviste mediche in ciascuno degli Stati membri interessati. Quanto al secondo profilo, Vifor si impegna, per 10 anni, a non lanciare nello SEE comunicazioni promozionali e mediche esterne, per iscritto e orali, circa la sicurezza del Monofer che non siano basate sulle caratteristiche del Monofer o non derivino da sperimentazioni cliniche verificate. Vifor si impegna inoltre a adottare una serie di salvaguardie per garantire il rispetto degli impegni, tra cui l’istituzione di training interni e la nomina di un fiduciario indipendente.

Il caso rileva per la peculiarità della condotta e del set di impegni presentati al market test: le campagne denigratorie rispetto a prodotti concorrenti hanno recentemente attirato l’attenzione non solo della Commissione ma anche delle autorità nazionali (inclusa l’AGCM). Si veda ad esempio il caso della Commissione contro Teva per uso improprio di brevetti e azioni denigratorie rispetto ad un farmaco rivale per la sclerosi multipla, nonché la sanzione di oltre 15 milioni a imposta Roxtec nel mercato dei sistemi sigillanti per una complessa strategia escludente che, secondo l’AGCM) includeva azioni volte a screditare un concorrente (si veda la Newsletter del 4 settembre 2023). Desta inoltre particolare interesse – tra gli impegni proposti – quanto previsto per eliminare i pretesi effetti dei messaggi precedentemente diffusi, in particolare alla luce della durata della pretesa condotta, che risalirebbe al 2010.

Non resta che attendere quali saranno le osservazioni al market test e se la Commissione sarà, all’esito della consultazione, persuasa dell’efficacia degli impegni per la risoluzione delle criticità concorrenziali individuate.

Cecilia Carli

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette ed e-commerce - L’AGCM ha sanzionato Amazon per un totale di 10 milioni di euro

Con il provvedimento dello scorso 18 aprile (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha concluso il procedimento per pratica commerciale scorretta avviato lo scorso 21 giugno 2023 nei confronti di Amazon Services Europe S.à.r.l., Amazon EU S.à.r.l. e Amazon Italia Services S.r.l. (congiuntamente, Amazon), sanzionando Amazon per un ammontare complessivo di 10 milioni di euro.

In particolare, con il Provvedimento, l’AGCM ha (i) vietato la continuazione e sanzionato la pratica concernente la pre-selezione dell’acquisto periodico per una serie di prodotti offerti sull’e-commerce (Condotta A); e (ii) reso obbligatori gli impegni presentati da Amazon in relazione alla condotta di pre-impostazione della consegna veloce a pagamento, anche laddove è disponibile la consegna gratuita (Condotta B).

Con particolare riguardo alla Condotta A, nella richiesta di intervento pervenuta all’AGCM da parte di un consumatore si fa presente come quest’ultimo non avesse compreso di essersi iscritto al “Programma Iscriviti e Risparmia” (il Programma IeR) – conseguenza automatica e diretta della finalizzazione dell’acquisto effettuato (involontariamente) in modalità periodica – e di aver avuto difficoltà a disiscriversi da tale opzione. A tale proposito, l’AGCM ha rigettato le argomentazioni avanzate da Amazon, volte a dimostrare come il consumatore abbia effettivamente l’opportunità di decidere consapevolmente se aderire all’opzione di acquisto periodico già selezionata, sottolineando, al contrario, come la pagina di check-out dell’acquisto non richieda alcuna specifica azione per confermare l’avvenuta iscrizione al Programma IeR data dalla pre-selezione di default. Inoltre, nella medesima pagina di check-out, il pulsante dedicato alla finalizzazione dell’acquisto non menziona in alcun modo la pre-selezionata consegna periodica, recando invece solo la dicitura “Acquista ora”. Solo al di sotto di tale pulsante, con minore evidenza, è indicato che procedendo all’ordine si accettano termini e condizioni del Programma IeR. L’utente che voglia evitare la consegna periodica dovrebbe dunque attivarsi specificamente per deselezionarla tornando alla pagina precedente.

Inoltre, l’AGCM ha ritenuto che le indicazioni menzionate da Amazon a sostegno della propria posizione e volte a rendere nota la possibilità di recedere senza costi dall’opzione pre-impostata non siano sufficienti a reintegrare la libertà di scelta del consumatore, poiché si collocano in un momento temporalmente successivo alla selezione del prodotto e all’indicazione di acquisto, in cui l’effetto dell’opzione si è già prodotto.

Alla luce di quanto sopra, l’AGCM ha ritenuto che la Condotta A generasse un possibile effetto di single-home sulla piattaforma, il quale si traduce in un beneficio economico per Amazon in relazione alle vendite successive, senza che sussista in tal senso una scelta attiva e consapevole da parte del consumatore.

Considerando dunque (a) la posizione di asimmetria informativa che contraddistingue il consumatore acquirente rispetto al venditore nei casi di vendite a distanza, (b) la modalità secondo l’AGCM scorretta ed aggressiva di ottenere il consenso del consumatore rispetto alla modalità d’acquisto, (c) la dimensione economica del professionista coinvolto, che nell’esercizio 2022 ha realizzato in Europa un fatturato superiore a 70 miliardi di euro, e (d) il fatto che la Condotta A sia ancora in corso; l’AGCM ha ritenuto congruo determinare l’importo della sanzione amministrativa pecuniaria nella misura del massimo edittale pari a 10 milioni di euro.

Per quanto concerne invece la Condotta B, l’AGCM ha accolto gli impegni presentati da Amazon, ritenendoli idonei a superare le contestazioni mosse in avvio. In particolare, Amazon ha proposto: (a) nei casi in cui sia disponibile (anche) l’opzione di consegna gratuita del prodotto di preselezionare unicamente l’opzione di spedizione gratuita; e (b) di modificare il titolo della pagina da “Spedizione Premium” a “Spedizione Premium a pagamento”, così da inserire una più chiara indicazione dei costi afferenti a tale modalità; e (c) di assumere un impegno correttivo e restitutorio a favore dei consumatori che nel corso del 2023 hanno segnalato al servizio clienti di aver effettuato erroneamente un acquisto tramite la modalità di consegna “Premium” preselezionata, riconoscendo un Buono Regalo del valore di 10 euro spendibile su amazon.it. Pertanto, l’AGCM ha ritenuto opportuno chiudere il procedimento in relazione alla Condotta B senza l’avvenuto accertamento di un’infrazione.

Ciò detto, non resta che attendere per vedere se Amazon contesterà quanto sostenuto dell’AGCM nelle opportune sedi giudiziarie amministrative.

Allegra Tucci

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Pratiche commerciali scorrette e settore dell’energia – Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato da Eni annullando il provvedimento AGCM che l’aveva sanzionata per l’utilizzo di green claims

Con la sentenza pubblicata lo scorso 23 aprile, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto l’appello presentato da Eni S.p.A. (Eni) contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) che a sua volta aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che aveva sanzionato Eni per pratiche commerciali scorrette, relative ai claim di performance ambientali riferiti al carburante Eni Diesel+ (Diesel+).

La vicenda prende le mosse dal provvedimento in parola, già oggetto di commento in questa Newsletter, con il quale l’AGCM aveva irrogato ad Eni una sanzione di 5 milioni di euro – il massimo edittale al tempo – per alcuni claim di natura ambientale utilizzati per la promozione del Diesel+. Secondo l’AGCM, tali messaggi avrebbero da un lato generato confusione fra le caratteristiche del prodotto Diesel+ e della sua componente “Hydrotreated Vegetable Oil” (HVO); dall’altro, i messaggi in questione sarebbero stati rafforzati da una serie di claim ulteriori e secondari, riguardanti una riduzione delle emissioni di gas fino al 40%, di CO2 del 5% in media, nonché una riduzione dei consumi fino al 4%. Eni aveva proposto ricorso al TAR, il quale, nel 2022, si era pronunciato rigettando il ricorso, (si veda questa Newsletter del 15 novembre 2021). Con la sentenza in commento il CdS accoglie l’appello di Eni annullando la sentenza del TAR e il provvedimento dell’AGCM.

In primo luogo, il CdS si sofferma sulla legittimità del claimgreen” anche in relazione a prodotti che sono (e restano) per loro natura inquinanti, pur presentando un minore impatto sull’ambiente. Il CdS osserva che né la Direttiva europea sulle pratiche commerciali scorrette (Direttiva 2005/29/CE), né gli Orientamenti della Commissione europea per l’attuazione della Direttiva 2005/29/CE (gli Orientamenti CE) escludono in radice la possibilità di associare il claimgreen” ad un prodotto che rimane (almeno in una certa misura) inquinante, claim che potrebbe al più qualificarsi come ingannevole se effettuato con modalità idonee a falsare il comportamento del consumatore. Tale conclusione, peraltro, sembrerebbe rafforzata dalla nuova Direttiva UE 2024/825 (Direttiva Empowering) che, nell’elencare i claim ambientali integranti pratiche commerciali scorrette, non include l’uso del claimgreen” per prodotti che rimango (almeno in una certa misura) inquinanti.

In secondo luogo, pur ribadendo che la veridicità di un claim non è di per sé idonea ad escludere l’esistenza di una pratica commerciale scorretta, il CdS ritiene che la condotta di Eni non possa integrare una pratica commerciare scorretta perché inidonea a falsare il comportamento del consumatore medio.

Infatti, come ribadisce il CdS, Eni non ha utilizzato il claimgreen” in maniera assoluta e/o generica, ma in maniera relativa e accompagnandolo sempre con il claim “di supporto”, volto a specificare la quantità di componente HVO (rinnovabile) presente all’interno di Diesel+, pari al 15%. Inoltre, secondo il CdS, la corretta identificazione del consumatore medio – al fine di determinare l’idoneità della condotta a fasarne il comportamento – non può che essere calibrata sulla precisa categoria di consumatori e utenti considerata. Nello specifico, il consumatore di carburante Diesel utilizza come parametro per le proprie scelte d’acquisto principalmente il risparmio economico nei consumi. Interessante anche notare come il CdS aggiunga che contribuiscono ad escludere l’attitudine decettiva dei messaggi pubblicitari in esame (anche se in maniera non decisiva) gli esiti dell’indagine di mercato commissionata da Eni a Doxa. Detti risultati, in assenza di elementi di segno contrario, spingono a ritenere che, nel caso di specie, non si sia verificato un effetto c.d. “framing” (fenomeno psicologico secondo cui la valenza della scelta economica da effettuare viene influenzata dalla modalità di presentazione degli elementi rilevanti di un prodotto), come invece apoditticamente sostenuto dall’AGCM.

In terzo luogo, quanto affermato con riferimento al claim principale, viene esteso dal CdS anche ai claim secondari, riguardanti la riduzione delle emissioni di gas e CO2, nonché dei consumi di carburante. Con riguardo a questi ultimi, il CdS rileva che – a prescindere dalla veridicità che risulta comunque accertata ed attendibile – il livello di dettaglio di tali affermazioni deve essere necessariamente contemperato con le esigenze di sinteticità e immediatezza dei messaggi pubblicitari. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dall’AGCM, Eni avrebbe operato tutte le cautele volte a generare il minor livello possibile di confusione nel consumatore e le scelte operate sarebbero in linea con gli Orientamenti CE.

La sentenza appare di particolare interesse, se si considera la crescente sensibilità al tema da parte, tra l’altro, della Commissione europea, che con la Direttiva Empowering ha enfatizzato la correlazione fra la protezione ambientale, la transizione verde e il contrasto al fenomeno del c.d. greenwashing. Inoltre, giova ricordare che a marzo del 2023 è stata presentata dalla Commissione europea la proposta per un’apposita Green Claims Directive, attualmente in discussione al Parlamento europeo, che contribuisce a ribadire la centralità e l’attualità dei temi sui quali la sentenza in commento fornisce determinanti chiarimenti.

Irene Indino

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti e principio di proporzionalità – La stazione appaltante non può aggiudicare la gara sulla base del minor tempo di consegna

Con sentenza dello scorso 24 aprile, il Consiglio di Stato (CdS) ritiene illegittimi gli atti di una gara perché, nell’ambito dei criteri di aggiudicazione, l’amministrazione ha introdotto un criterio che premiava in modo eccessivo e sproporzionato le offerte che riducevano i tempi di consegna della prestazione. Secondo il CdS, vi è un’illegittima sproporzione tra il vantaggio attribuito dall’aggiudicazione e la conseguenza del mancato rispetto del termine, che non determina la rescissione del contratto ma una semplice penale da ritardo.

La vicenda trae origine dalla pubblicazione di un bando di gara da parte di Minerva Società Consortile s.r.l. (Minerva) per l’affidamento di un servizio di noleggio di automezzi da adibire alla raccolta differenziata di rifiuti in alcuni Comuni del Lazio. Il bando prevedeva che, nell’ambito dei criteri di aggiudicazione, fossero attributi fino a 15 punti (su 50 totali) ai partecipanti la cui offerta conteneva una riduzione sui tempi di consegna. All’esito della gara, la società ricorrente Omnitech s.r.l. (Omnitech) aveva ottenuto, per tutti gli altri parametri tecnici, un punteggio sempre superiore rispetto al RTI Socram Meccanica s.r.l. (RTI Socram). Tuttavia, il RTI Socram si aggiudicava la gara perché ha dichiarato che avrebbe consegnato la prestazione in un solo giorno dall’affidamento del contratto, così beneficiando di tutti i 15 punti a disposizione per questo specifico criterio di aggiudicazione. In sede di esecuzione, il RTI Socram non riusciva però a portare a termine la consegna dei mezzi in un solo giorno, ovvero nel tempo dichiarato in sede d’offerta.

La seconda classificata Omnitech ha proposto ricorso al TAR Lazio, che lo ha respinto, affermando che la non osservanza del parametro “attiene agli elementi non essenziali dell’offerta, la cui osservanza è efficacemente sanzionata dalle penali previste”.

Il CdS ha riformato la sentenza di primo grado e accolto l’appello della società Minerva. In particolare, la decisione sottolinea come la questione non riguardi tanto il pagamento di una penale a fronte di un inadempimento nella fase esecutiva del contratto, ma piuttosto la fase procedimentale relativa alla verifica sulla congruità e affidabilità dell’offerta.

Ne consegue che, se è volontà dell’amministrazione valorizzare la riduzione dei tempi di consegna ai fini dell’attribuzione del punteggio un determinato e se tale criterio consente all’impresa di ottenere un punteggio che poi risulterà decisivo per l’aggiudicazione della commessa, “allora questo criterio non può successivamente degradare a mera penalità per il ritardo nella consegna”.

Diversamente, prosegue il CdS, si altererebbe il corretto esplicarsi della dinamica concorrenziale sottesa al procedimento di evidenza pubblica, poiché sarebbe interesse del partecipante offrire coscientemente una prestazione impossibile pur di aggiudicarsi la gara, con la consapevolezza che, nel peggiore dei casi, si rischierebbe solamente il pagamento di una penale, di importo notevolmente inferiore rispetto all’utile derivante dalla commessa.

La vicenda dimostra come occorra distinguere tra “imprevisto ed episodico mancato rispetto degli impegni negoziali” e “una proposta contrattuale fondata su impegni a priori non mantenibili”. La sentenza del CdS è inoltre un monito alle amministrazioni che intendono inserire, nell’ambito dei criteri di aggiudicazione, anche un criterio che premia le offerte sulla riduzione dei tempi di consegna e/o ultimazione delle prestazioni. Infatti, un criterio di questo genere può indurre i concorrenti a presentare riduzioni irrealistiche al mero fine di aggiudicarsi il contratto, ma esponendo l’amministrazione poi a contrasti in sede di esecuzione quando, ex post rispetto alla gara oramai aggiudicata, viene fuori che l’operatore non è in grado di rispettare la riduzione sui tempi che aveva promesso all’amministrazione.

Costanza Sofia Vannini

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