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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 6 maggio 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore sportivo – Pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale sulla compatibilità con il diritto UE di alcune norme dei Regolamenti FIFA relative al trasferimento di giocatori

Il 30 aprile 2024 sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar (AG) sul rinvio pregiudiziale proposto dalla corte d’appello di Mons (Belgio) alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) sulla compatibilità con gli articoli 45 e 101 TFUE di alcune norme del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei giocatori della Fédération Internationale de Football Association (FIFA) (il Regolamento FIFA).

In particolare, le norme del Regolamento FIFA in rilievo hanno ad oggetto:
(i) in caso di tesseramento di un giocatore presso una federazione nazionale, il rilascio di un certificato internazionale di trasferimento obbligatorio (CIT) da parte della federazione nazionale diversa presso cui questi era eventualmente tesserato in precedenza e l’impossibilità di rilasciare il CIT ove risulti pendente una controversia contrattuale tra il giocatore e il club di provenienza riguardante la risoluzione senza giusta causa del relativo contratto;

(ii) in caso di risoluzione senza giusta causa del contratto tra il giocatore e il club di provenienza, la responsabilità in solido del giocatore e del club di destinazione per il pagamento di un’indennità parametrata ad una serie di criteri oggettivi relativi allo specifico rapporto; e

(iii) l’imposizione di sanzioni sportive ai club riconosciuti responsabili della risoluzione di tali contratti, stante l’esistenza di una presunzione relativa di responsabilità sui club di destinazione in caso di risoluzione del contratto precedente senza giusta causa da parte del giocatore.

Il rinvio ha avuto origine da una controversia legata alla domanda presentata da un giocatore professionista francese per il risarcimento di danni asseritamente causati dal mancato rilascio del CIT a seguito di un suo trasferimento ad un club belga. Nell’ambito di tale causa, il giudice a quo aveva domandato alla CGUE di accertare la compatibilità delle sopra richiamate norme del Regolamento FIFA con il principio di libertà di circolazione dei lavoratori di cui all’art. 45 TFEU e con il divieto di intese restrittive della concorrenza previsto dall’art. 101 TFUE.

Rispetto al primo tema, l’analisi dell’AG ha tratto avvio dalla giurisprudenza della CGUE che considera restrittiva ogni misura che abbia l’effetto di sfavorire i cittadini europei qualora vogliano svolgere un’attività economica in uno Stato diverso da quello di origine. Ha riconosciuto, quindi, tale restrittività nel caso in esame sulla base dell’idoneità delle disposizioni controverse a impedire in concreto l’esercizio dell’attività professionale del giocatore in territorio belga, verificata e non contestata nel procedimento.

Rispetto alla compatibilità con l’articolo 101 TFUE, l’AG ha ritenuto che le previsioni del Regolamento FIFA, qualificabili come intesa, possano essere considerate integrare restrizioni per oggetto data la loro idoneità a impedire la concorrenza dei club rispetto al tesseramento di giocatori professionisti, i quali rappresentano fattori produttivi fondamentali in tali contesti di mercato.

L’AG ha altresì valutato la giustificabilità delle previsioni in questione nell’ottica del perseguimento di obiettivi legittimi di interesse generale, nell’ambito dell’art. 101 TFUE. Tale esame è stato considerato assimilabile a quello relativo alla giustificazione delle restrizioni della libertà di circolazione dei lavoratori di cui all’articolo 45 TFUE. Rispetto ad entrambi, da un lato, l’AG ha riconosciuto l’idoneità astratta delle norme del Regolamento FIFA al perseguimento di obiettivi di interesse generale, come la garanzia della stabilità contrattuale nel settore del calcio professionistico e del rispetto degli obblighi assunti da club e calciatori. Dall’altro, tuttavia, non ha considerato tali restrizioni integralmente proporzionali al perseguimento di tali obiettivi, specificamente per quanto previsto circa la responsabilità solidale del club di destinazione per l’indennità dovuta dal giocatore e il rilascio obbligatorio del CIT, considerando la difficoltà della prova gravante sul club di destinazione e i tempi dei procedimenti di fronte alla giustizia sportiva.

Con le conclusioni in esame, le istituzioni europee tornano ad occuparsi del rapporto tra le norme regolamentari delle federazioni sportive internazionali, il diritto della concorrenza e le libertà fondamentali dell’UE dopo i casi Superleague e International Skating Union dello scorso dicembre (già oggetto di questa Newsletter). Per un quadro aggiornato circa l’approccio della CGUE a tali temi, non rimane, quindi, che attendere la sentenza, attesa non prima del prossimo autunno.

Alberto Galasso

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Digital Markets Act – Pubblicate le decisioni con cui la Commissione ha avviato istruttorie per possibile non-compliance con il DMA da parte di alcuni gatekeeper

Con apposite decisioni, pubblicate lo scorso 24 aprile, la Commissione europea (la Commissione), ha avviato le prime istruttorie per non-ottemperanza agli obblighi previsti dal Digital Markets Act (DMA) nei confronti di alcune piattaforme digitali con la qualifica di “gatekeeper” per la presunta mancata ottemperanza ai rispettivi obblighi con riferimento ai Core Platform Services (CPS) offerti da queste imprese.

Come già commentato in questa Newsletter, il DMA e i relativi obblighi sono in vigore dal 1° novembre 2022 e lo scorso 6 settembre 2023 sono stati designati dalla Commissione i primi sei gatekeeper, i quali ad inizio marzo hanno presentato i rispettivi report di compliance con le norme del DMA. I report sono poi stati analizzati dalla Commissione, che ha valutato l’idoneità delle misure adottate al rispetto delle prescrizioni di cui agli articoli 5 e 6 del DMA. Con riferimento ai CPS summenzionati, la Commissione ha sollevato dei dubbi sull’idoneità delle seguenti misure ad adempiere agli obblighi previsti dal DMA:

  • il sistema di c.d. “Pay or Consent” per il trattamento dei dati. L’articolo 5 del DMA prevede il divieto per i gatekeeper di “…combinare dati personali ricavati da tali CPS con dati personali provenienti da qualsiasi altro servizio offerto dal gatekeeper o con dati personali provenienti da terzi e dall’accesso con registrazione degli utenti finali ad altri servizi …”, a meno che l’utente finale non abbia prestato il proprio consenso a ciò, ai sensi del Regolamento UE 2016/679 (GDPR). Il meccanismo sotto scrutinio permette all’utente di scegliere tra prestare il proprio consenso al trattamento dei dati personali, oppure avere accesso ad una versione “ads free” delle piattaforme di social network, dietro il pagamento di un compenso. Siffatto meccanismo, secondo la Commissione, solleverebbe dubbi di compliance con l’articolo 5 con riguardo all’effettiva libertà del consenso prestato dall’utente, anche considerato che il medesimo “pay or consent” è stato oggetto di un’opinione sfavorevole dello European Data Protection Board che, per le stesse ragioni, lo ha ritenuto non conforme alle disposizioni del GDPR;
  • la libertà di scelta dell’utente con riferimento alle applicazioni del sistema operativo. Al riguardo, l’articolo 6 del DMA prevede, tra l’altro, l’obbligo per i gatekeeper di consentire “…agli utenti finali di disinstallare qualsiasi applicazione software preinstallata sul proprio CPS, fatta salva la possibilità per il gatekeeper di limitare tale disinstallazione in relazione alle applicazioni software essenziali per il funzionamento del sistema operativo o del dispositivo…”. La piattaforma in questione, nel proprio report di compliance, avrebbe individuato tra le applicazioni essenziali per il funzionamento di iOS anche il proprio browser, la cui disinstallazione non sarà più consentita entro la fine del 2024. Ad avviso della Commissione, tale inclusione, accompagnata dalla difficoltà per l’utente di selezionare servizi diversi da quelli previsti di default nel sistema operativo, solleverebbe dubbi di compliance con l’articolo 6 del DMA;
  • le misure adottate da un’altra piattaforma per prevenire il self-preferencing nei risultati del proprio motore di ricerca. Il c.d. self-preferencing – oggetto altresì di precedenti decisioni della Commissione – è stato vietato dall’articolo 6 del DMA, il quale prevede che il gatekeeper… si astiene dal garantire un trattamento più favorevole in termini di posizionamento ai servizi e prodotti offerti dal gatekeeper stesso…”. Tuttavia, le misure previste da tale gatekeeper nel proprio report non sono state ritenute dalla Commissione sufficienti per eliminare i dubbi di compliance con il DMA e la relativa condotta è oggetto di apposita istruttoria;
  • da ultimo, sono oggetto di indagine anche le norme di c.d. steering che sarebbero state adottate da alcune piattaforme in relazione alle applicazioni per la vendita di altre applicazioni (c.d. “store”). L’articolo 5 del DMA “…consente agli utenti commerciali di promuovere offerte agli utenti finali acquisiti attraverso il servizio di piattaforma di base e di stipulare contratti con tali utenti finali…”; con ciò ci si riferisce a tutti i link esterni volti a reindirizzare l’utente verso un servizio esterno ai CPS. Sebbene, nei rispettivi report, le imprese in questione abbiano consentito all’inserimento di tali link esterni, la pratica sarebbe subordinata – ad avviso della Commissione – a restrizioni e limitazioni non trascurabili, primo tra tutti il pagamento di una commissione per l’inserimento del link e l’utilizzo dello stesso da parte degli utenti.

Le istruttorie sono state avviate lo scorso 25 marzo e, come previsto dal DMA, dovranno concludersi entro il termine di 12 mesi dall’avvio. Inoltre, giova ricordare che, all’esito di un’istruttoria per inosservanza degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6 del DMA, la Commissione può imporre al gatekeeper una sanzione pecuniaria fino al 10% del fatturato dell’ultimo esercizio finanziario.

Non resta che attendere e vedere come si concluderanno queste prime istruttorie per non-compliance avviate formalmente ai sensi del DMA e quale sarà la posizione dei gatekeeper coinvolti, considerando peraltro che tematiche analoghe sono in alcuni casi già state oggetto di precedenti procedimenti antitrust da parte della stessa Commissione o delle autorità nazionali competenti. Sarà interessante vedere se gli esiti dei relativi procedimenti saranno confermati anche ai sensi delle nuove norme.

Irene Indino

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore bancario – Pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale in merito ad un rinvio pregiudiziale vertente sulla nozione di “consumatore medio”e sulle pratiche di c.d. “framing

Lo scorso 25 aprile l’Avvocato Generale Emiliou (AG) ha presentato le proprie conclusioni in relazione ad un rinvio pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato (CdS) alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nel contesto di una controversia tra Compass Banca S.p.A. (Compass) e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM). Le questioni poste all’attenzione della CGUE erano volte, inter alia, ad ottenere chiarimenti sulla figura del c.d. “consumatore medio” e la natura delle pratiche poste in essere da Compass.

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2019 l’AGCM aveva irrogato una sanzione pari a 4,7 milioni di euro a Compass per una pratica commerciale aggressiva consistente nell’abbinamento forzoso, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al credito di cui la medesima Compass era intermediaria (la Decisione). Per l’AGCM, in particolare, le modalità di presentazione dei due prodotti (c.d. framing) erano idonee a ingenerare nei consumatori l’erronea convinzione che i due prodotti dovessero necessariamente essere acquistati insieme. Compass aveva proposto, senza successo, ricorso davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, e poi, al CdS che ha operato il rinvio in oggetto.

I quesiti sollevati dinanzi alla CGUE derivano strettamente dai motivi di ricorso promossi da Compass e riguardano, in particolare, (i) la nozione di “consumatore medio” di cui alla Direttiva 2005/29/CE (la Direttiva PCS), (ii) la possibilità di definire aggressiva “di per sé” una pratica commerciale di c.d. framing ove il posizionamento delle informazioni possa ingenerare nel consumatore l’erronea idea che una determinata scelta sia obbligata e (iii) alcune prescrizioni della Direttiva PCS e della Direttiva (UE) 2016/97 (la Direttiva sulla distribuzione assicurativa), nonché alcune aree di possibile interferenza tra le due. Per un maggior approfondimento della vicenda si rimanda alla Newsletter del 17 ottobre 2022.

In merito al primo punto, l’AG rileva, in primis, che ai sensi del considerando 18 della Direttiva PCS la nozione di “consumatore medio” non è “statistica”, ma dipende dall’evoluzione della giurisprudenza della CGUE e che gli organi giurisdizionali e le autorità nazionali devono tenere conto di vari fattori (sociali, culturali e linguistici).

L’AG suggerisce alla CGUE di rispondere al CdS affermando che non è possibile valutare il carattere “sleale” di una pratica commerciale prendendo a riferimento la nozione classica di “homo oeconomicus” (ossia “un attore razionale che è sicuro e si attiva per raccogliere ed elaborare le informazioni prima di adottare decisioni di natura commerciale”). Al contrario, il consumatore medio non è necessariamente un tale individuo razionale, e la nozione di “consumatore medio” è sufficientemente flessibile da consentire di considerarlo, in alcuni casi, come una persona dotata di “razionalità limitata” (ossia che agisce senza ottenere tutte le informazioni rilevanti o che è incapace di elaborare le informazioni ricevute in maniera razionale).

In merito al secondo punto, l’AG afferma che una pratica commerciale con cui un professionista non solo vende due prodotti in abbinamento, ma presenta le informazioni ai clienti in modo tale da indurli a credere che questi debbano necessariamente essere acquistati insieme non è di per sé aggressiva, ai sensi della Direttiva PCS. L’AG ricorda anche che, ai sensi di tale direttiva, la pratica deve comportare il ricorso a “…molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento…”. Un indebito condizionamento del consumatore può certamente essere esercitato dalle modalità con cui le informazioni sono “incorniciate” ma ciò non implica necessariamente che tutte le pratiche di framing siano di per sé aggressive.

Secondo l’AG, il carattere “aggressivo” di una pratica deriva da una “valutazione contestuale” e sono le autorità competenti degli Stati membri a dover valutare tali pratiche nel caso di specie, tenendo conto di tutte le caratteristiche e circostanze specifiche. In questo modo l’onere della prova non è a carico del professionista. Il framing sarebbe per l’AG solo una delle caratteristiche da valutare per appurare l’aggressività di una pratica. Una tale interpretazione nel caso di specie, peraltro, sarebbe confermata, secondo l’AG, anche dalla mancata inclusione della pratica di framing in oggetto fra quelle contenute nella c.d. black list allegata alla Direttiva PCS (ossia quelle considerate sleali in ogni caso).

In merito al terzo punto, sulle restanti domande relative alle previsioni della Direttiva PCS e della Direttiva sulla distribuzione assicurativa – nonché su una possibile interferenza tra le due – l’AG risponde affermando che, qualora le autorità competenti concludano che una determinata pratica commerciale sia aggressiva, potranno legittimamente imporre, ad esempio, che la firma di due contratti per due prodotti distinti sia separata da un intervallo di sette giorni (come previsto dall’AGCM nella Decisione). Peraltro, secondo l’AG – posto che, come detto finora, una pratica di framing come quella del caso di specie non può essere ritenuta di per sé aggressiva – nessuna previsione della Direttiva sulla distribuzione assicurativa osta al fatto che le autorità competenti possono imporre un intervallo di sette giorni tra la firma di due contratti concernenti, rispettivamente, un finanziamento personale e una polizza assicurativa, offerti congiuntamente. Ciò, naturalmente, qualora sia dimostrata nel caso di specie l’aggressività di tale pratica.

Le conclusioni in oggetto risultano di particolare interesse in quanto, inter alia, forniscono alcuni chiarimenti sulla nozione di “consumatore medio”. Allo stesso tempo, esse sembrano suggerire l’adozione di un atteggiamento sempre più paternalistico da parte delle autorità nei confronti dei consumatori, a scapito della libertà commerciale degli operatori economici. Non resta ora che attendere la pronuncia della CGUE.

Fabio Bifarini

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Appalti, concessioni e regolazione / Requisiti per l’affidamento di un accordo quadro – Il Consiglio di Stato conferma che i requisiti di partecipazione vanno riferiti al valore dell’accordo quadro e non al valore dei singoli contratti attuativi

Con la sentenza del 22 aprile scorso, il Consiglio di Stato (CdS) ha stabilito che, nell’interpretazione di un bando per l’affidamento di un accordo quadro, va preferita la lettura che riferisce i requisiti di partecipazione al (maggior) valore dell’accordo quadro anziché al (minor) valore dei singoli contratti attuativi.

La questione riguarda il possesso di una SOA (nella specie, una OG 10) ossia al possesso di un attestato obbligatorio che certifica la capacità economica e tecnica di un operatore ad eseguire una determinata categoria di lavori pubblici (nella specie, lavori per la realizzazione di impianti per la trasformazione e distribuzione di energia elettrica in corrente alterna). L’oggetto del contendere ruota attorno alla c.d. classifica della SOA richiesta ossia se, secondo la lex specialis, la classifica della SOA debba essere riferita al valore dell’intero accordo quadro oppure se sia sufficiente una classifica riferita al valore dei singoli contratti applicativi che, a valle della gara, possono essere affidati dall’operatore aggiudicatario dell’accordo quadro.

Nel caso in esame, la Provincia di Savona aveva indetto una procedura selettiva per la selezione del concessionario dei servizi di prestazione energetica, con riqualificazione energetica e gestione dell’impianto di pubblica illuminazione di proprietà di cinque soggetti pubblici, i comuni di Borghetto S. Spirito, Finale Ligure, Spotorno, Stella e la Provincia di Savona per le gallerie e i tratti stradali di competenza.

La lex specialis stabiliva che la procedura determinava l’affidamento di un accordo quadro a favore del concessionario aggiudicatario e, poiché le prestazioni dell’accordo quadro includevano anche la prestazione di lavori, essa prevedeva, come requisito di partecipazione, anche il possesso di una SOA OG 10.

La società Ottima srl (Ottima) vinceva la gara, ma la seconda classificata, Enel Sole srl (Enel Sole) ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione, evidenziando che la SOA OG 10 di Ottima non aveva una classifica sufficiente rispetto al valore complessivo dell’accordo quadro.

Il TAR ha accolto il ricorso di Enel Sole ritenendo che la SOA di Ottima fosse idonea solo a sostenere gli importi dei singoli contratti attuativi.

La sentenza di primo grado è stata impugnata in appello. Chiamato a pronunciarsi sull’interpretazione del disciplinare di gara, il CdS ha ritenuto che il principio di massima partecipazione debba essere interpretato compatibilmente al dato letterale e all’oggetto del contratto, il quale faceva esplicito riferimento al possesso della ideona qualificazione in riferimento all’importo totale degli interventi previsti dalla procedura di gara. In linea con una giurisprudenza consolidata, il CdS ha così confermato che, in linea di principio, il requisito di partecipazione richiesto per l’affidamento di un accordo quadro debba fare riferimento al valore complessivo dell’accordo quadro. Affermato questo principio essenziale, il CdS ha poi però salvato l’aggiudicazione a favore di Ottima. Infatti, esso ha statuito anche che, se la lex specialis di un accordo quadro richiede il possesso di una SOA, il valore di riferimento non è propriamente l’importo complessivo di tutto l’accordo quadro, ma l’importo complessivo dei soli lavori a cui la SOA fa riferimento. Nel caso di specie, questo ha comportato che non andavano computati gli importi riferiti a prestazioni diverse dai lavori e, scorporando tali importi, la classifica della SOA posseduta da Ottima era comunque sufficiente.

Margherita Zucchini

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Legal News / CMA e AI Foundation Models – La CMA ha pubblicato un aggiornamento nell’ambito della propria analisi di mercato evidenziando potenzialità e criticità di questo settore.

La Competition and Markets Authority del Regno Unito (la CMA) ha pubblicato, l'11 aprile 2024, un report, seguito in data 16 aprile 2024 da un più dettagliato report tecnico (i Report), contenenti una prima analisi degli aspetti concorrenziali, consumeristici e più in generale dell’impatto sull’economia dell’intelligenza artificiale (l’IA). In particolare, la CMA ha concentrato la sua analisi sui modelli di fondazione (i Modelli di Fondazione dell’IA), ossia i modelli generativi di IA che fungono da fondamenta per lo sviluppo su larga scala di sistemi avanzati di IA a valle. I Report si inseriscono nell’ambito dell’indagine sull’impatto dei Modelli di Fondazione dell’IA avviata dalla CMA nel maggio 2023, i cui contenuti erano già stati commentati in questa Newsletter, e con la quale la CMA mira a mettere in luce potenzialità e criticità esistenti in questo settore.

I Report sottolineano in primo luogo il crescente uso dei Modelli di Fondazione dell’IA, sia da parte delle persone fisiche che delle imprese, e come questi stiano crescendo nel numero e nella complessità e potenzialità, in termini di funzioni svolte. Dal punto di vista dell’assetto di mercato, la CMA ha sottolineato come lo sviluppo dei Modelli di Fondazione dell’IA dipenda dalla disponibilità di calcolo, accesso ai dati e alla expertise rilevante, tutti elementi più facilmente accessibili alle grandi imprese digitali, le quali possono altresì integrare con più facilità tali Modelli di Fondazione dell’IA in altri servizi offerti nei mercati digitali. In aggiunta a ciò, la CMA ha altresì notato come la catena del valore dei Modelli di Fondazione dell’IA sia sempre maggiormente interconnessa al suo interno, attraverso fenomeni di integrazione verticale, partnership e accordi strategici tra le imprese.

Alla luce di tale scenario di mercato, la CMA ha elaborato alcuni principi concorrenziali che dovrebbero a suo avviso guidare l’intervento delle autorità di concorrenza nel settore dell’IA. In particolare, avendo riguardo ai Modelli di Fondazione dell’IA, la CMA ha notato come alcune delle imprese operanti nel settore abbiano forti posizioni di mercato a monte, con riferimento agli input per sviluppare i Modelli di Fondazione dell’IA, così come a valle, per quanto concerne l’impiego di tali Modelli di Fondazione dell’IA. Ciò, secondo la CMA, consentirebbe a tali imprese di sfruttare la propria posizione di mercato attraverso meccanismi di leveraging offensivo e difensivo; una preoccupazione esacerbata da alcune dinamiche presenti in tale settore come in altri mercati digitali, quali l’esistenza di feedback loops e dinamiche di winner-takes-all.

Più nello specifico, secondo la CMA, tre sarebbero i principali rischi concorrenziali: (i) che le imprese che controllano gli input per lo sviluppo dei Modelli di Fondazione dell’IA restringano l’accesso agli stessi al fine di proteggersi dalla concorrenza; (ii) che le imprese incumbent possano sfruttare la loro posizione di forza in altri mercati digitali per restringere la scelta delle imprese o dei consumatori nei Modelli di Fondazione dell’IA e la concorrenza nello sviluppo degli stessi; e (iii) che le partnership esistenti tra le imprese operanti in questo settore possano rafforzare posizioni di potere di mercato.

I Report presentano profili di interesse non solo dal punto di vista antitrust ma anche nel contesto della sempre maggiore attenzione alla regolazione dell’IA a livello globale.

Il prossimo aggiornamento della CMA su questo studio è previsto per l’autunno del 2024.

Michael Tagliavini