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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 27 maggio 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Concorrenza e settore dolciario – Mondelēz sanzionata con 338 milioni di euro dalla Commissione per aver limitato il commercio transfrontaliero di cioccolato, biscotti e caffè

Con il comunicato stampa dello scorso 23 maggio, la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato di aver irrogato a Mondelēz International Inc. (Mondelēz) una sanzione pari a 337,5 milioni di euro per aver posto in essere due tipologie di infrazioni della concorrenza: (a) per aver preso parte a diversi accordi anticoncorrenziali e attuato pratiche concordate finalizzate a limitare il commercio transfrontaliero tra gli Stati membri dell’Unione europea (l’UE) di vari prodotti a base di cioccolato, biscotti e caffè nonché, per le stesse finalità; nonché, per le stesse finalità, (b) per aver abusato della sua posizione dominante in alcuni mercati nazionali delle tavolette di cioccolato.

Il gruppo Mondelēz – multinazionale americana – è uno dei più grandi produttori di prodotti a base di cioccolato, biscotti e caffè, con marchi come Milka, Oreo, Toblerone, Côte d'Or e TUC. Nel gennaio del 2021, la Commissione aveva avviato d’ufficio una istruttoria nei confronti di Mondelēz al fine di verificare se quest’ultima avesse posto in essere condotte finalizzate a ostacolare il commercio transfrontaliero dei suoi prodotti tra gli Stati membri dell’UE in violazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

All’esito dell’istruttoria, la Commissione ha accertato che Mondelēz aveva realizzato diverse violazioni delle norme concorrenziali comunitarie.

Secondo quanto risulta dal comunicato stampa, con riguardo alle condotte contrarie all’articolo 101 TFUE, la Commissione ha riscontrato che, tra il 2012 e il 2019, Mondelēz aveva concluso 22 accordi anticoncorrenziali attraverso i quali aveva limitato i mercati nazionali o i clienti a cui sette distributori grossisti potevano rivedere i prodotti a base di cioccolato, biscotti e caffé della multinazionale americana. Uno degli accordi imponeva altresì al distributore all’ingrosso di applicare prezzi più alti per le esportazioni rispetto a quelli riservati alle vendite domestiche nel mercato nazionale. Inoltre, tra il 2006 e il 2020, la Commissione ha constatato che Mondelēz aveva limitato le vendite passive di dieci distributori esclusivi, imponendo loro di ottenere la previa autorizzazione di Mondelēz per poter rispondere a richieste di vendita – anche informali – da parte di clienti situati in altri Stati membri.

Rispetto, invece, alle violazioni dell’articolo 102 TFUE, la Commissione ha riscontrato che, tra il 2015 e il 2019, Mondelēz aveva abusato della propria posizione dominante nel mercato delle tavolette di cioccolato. Da un lato, infatti, Mondelēz si era rifiutato di vendere i suoi prodotti a un distributore tedesco al fine di impedirne la rivendita in Austria, Belgio, Bulgaria e Romania, dove i prezzi per questi prodotti erano più elevati e che, verosimilmente, attraverso le importazioni parallele si sarebbe potuto avere un calo degli stessi. Dall’altro, Mondelēz aveva interrotto la fornitura di tavolette di cioccolato nei Paesi Bassi per evitarne l’esportazione in Belgio, dove Mondelēz vendeva questi prodotti a prezzi più alti.

Nel complesso, secondo la Commissione, le condotte adottate da Mondelēz erano finalizzate ad evitare che il commercio transfrontaliero determinasse una diminuzione dei prezzi nei Paesi con prezzi più elevati. La durata e la gravità della condotta complessiva tenuta da Mondelēz, concretizzatasi – ad avviso della Commissione – in ben 24 violazioni della concorrenza, ha indotto quest’ultima a irrogare alla multinazionale americana una sanzione pari a 337,5 milioni di euro (pur con una riduzione del 15% concessa in ragione della cooperazione (seppur tardiva) alle indagini).

Al di là delle violazioni dell’articolo 101 TFUE, non sono frequenti i casi di abuso di posizione dominante consistenti nella limitazione o prevenzione del commercio parallelo. In particolare, sebbene esistano precedenti giurisprudenziali in altre industrie, come il caso Sot. Lélos relativo all’industria farmaceutica, quello di Mondelēz è uno dei casi in cui un’impresa produttrice di beni di largo consumo viene sanzionata dalla Commissione per questa tipologia di condotta.

Samuel Scandola

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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore dell’energia – Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato da Poste Italiane sospendendo il provvedimento cautelare dell’AGCM nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 8, comma 2-quater, della legge 287/90

Con l’ordinanza del 20 maggio 2024, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto il ricorso presentato da Poste Italiane S.p.A. (Poste), con cui quest’ultima chiedeva la sospensione del provvedimento cautelare emanato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) lo scorso 26 marzo, che imponeva a Poste di garantire l’accesso agli uffici postali ai fornitori di energia elettrica e gas concorrenti della propria controllata PostePay S.p.A. (PostePay).

Per una migliore comprensione del provvedimento in commento, appare utile ripercorrere brevemente la vicenda. A partire da giugno 2022, Poste è entrata nel settore dell’energia in Italia tramite la società Postepay, operando nei mercati liberalizzati della vendita al dettaglio di energia elettrica e gas naturale con il marchio Posta Energia. Il procedimento principale, già oggetto di commento in questa Newsletter, era stato avviato dall’AGCM lo scorso 8 febbraio 2024, in quanto, nel periodo compreso tra giugno e luglio 2023, Poste Italiane avrebbe negato a due società concorrenti nel mercato della vendita al dettaglio di energia elettrica e gas naturale (A2A Energia S.p.A. e Iren Mercato S.p.A.) l’accesso alle risorse di cui Poste ha la disponibilità esclusiva in virtù delle attività svolte nel perimetro del servizio postale universale. Ciò, in violazione dell’art. 8, comma 2-quater, della legge n. 287/1990, ai sensi del quale le imprese che esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale in certi mercati, qualora rendano disponibili a società da esse partecipate o controllate, in mercati diversi, beni o servizi di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte per i servizi di interesse economico generale, sono tenute a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti. Contestualmente l’AGCM aveva avviato un procedimento cautelare ai sensi dell’articolo 14-bis della legge n.287/1990, ad esito del quale ha imposto a Poste di garantire l’accesso agli uffici postali ai fornitori di energia elettrica e gas concorrenti di PostePay “… [presenti] nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, e a quelli presenti in Comuni con popolazione inferiore non interessati agli interventi di cui al Progetto Polis…”.

In effetti, fra i motivi di ricorso di Poste, rientra proprio la partecipazione di quest’ultima al c.d. Progetto Polis, che mira, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), a realizzare una sorta di sportello unico di prossimità nei piccoli centri urbani e nelle aree interne del Paese, per integrare la carente capacità amministrativa e garantire ai cittadini la possibilità di fruire di tutti i servizi pubblici in modalità digitale. Per la corretta attuazione dei progetti rientranti nel PNRR, l’articolo 1, comma 6, del D.L. 59/2021 ha previsto una sospensione (fino al 31 dicembre 2026) dell’art. 8 comma 2-quater della legge n. 287/1990, per i soggetti incaricati dell’attuazione dei progetti in questione, inclusa Poste. In secondo luogo, Poste ha evidenziato l’assenza di un’espressa attribuzione all’AGCM di poteri cautelari in relazione alla fattispecie di cui all’art. 8 comma 2-quater, essendo tali poteri previsti esplicitamente solo per le fattispecie di cui agli articoli 101 e 102 TFUE (nonché 2 e 3 della legge n. 287/1990).

Con riguardo alla prima censura, il CdS, rileva che il vantaggio concorrenziale che PostePay consegue – per la commercializzazione dei prodotti Poste Energia – dalla capillare distribuzione territoriale degli uffici postali, risulta suscettibile di alterare la concorrenza. Detta alterazione, ad avviso del CdS, non è limitata ai soli comuni interessati dal Progetto Polis, ma investe l’intero territorio nazionale, determinando un impatto sulla concorrenza di PostePay esteso a tutte le aree coperte dagli uffici di Poste.

Con riguardo alla seconda censura, il CdS conferma quanto rilevato dalla ricorrente Poste, sottolineando nello specifico che (i) il comma 2-quinquies dell’art.8 estende l’applicazione dei poteri di cui all’articolo 14 della legge n. 287/1990, anche ai casi di violazioni della disposizione di cui al comma 2-quater, (ii) il medesimo richiamo espresso non è tuttavia previsto anche per l’articolo 14-bis della stessa legge, che disciplina i poteri cautelari dell’AGCM, e (iii) che il medesimo richiamo espresso non è previsto neppure per l’articolo 15 della stessa legge, che disciplina i poteri sanzionatori dell’AGCM.

Pertanto, rilevando che le misure cautelari determinino effetti di dubbia reversibilità sull’intera rete di Poste, il CdS ha deciso, in conclusione, di accogliere il ricorso e sospendere le misure imposte dall’AGCM, senza pregiudizio per l’esito finale del procedimento principale.

L’ordinanza ha molteplici profili di rilevanza, primo fra tutti l’approccio critico nei confronti della dubbia “sussistenza della base legale del potere dell’Autorità” di imporre misure cautelari nella fattispecie in esame, a cui si accompagna un approccio velatamente critico relativo alla sussistenza di un eventuale potere sanzionatorio.

Non resta che attendere il termine del procedimento principale (previsto a breve) per poter determinare con maggiore certezza quale sarà l’impatto di tale pronuncia del CdS, cui peraltro seguirà altresì una sentenza sulla legittimità del provvedimento ad oggi sospeso.

Irene Indino

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e diritti di trasmissione calcistici – Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto l’appello di Sky avverso la sanzione dell’AGCM di 7 milioni di euro in relazione alla propria offerta ‘Calcio’ per la stagione 2018/2019

Con la sentenza dello scorso 17 maggio (la Sentenza), il Consiglio di Stato (il CdS) si è definitivamente pronunciato in merito alla vicenda che ha coinvolto Sky Italia S.r.l. (SKY) per una pratica commerciale scorretta ai danni dei consumatori intenzionati ad acquistare il (o già abbonati al) pacchetto ‘SKY Calcio’.

La Sentenza ha accolto in parte l’appello presentato da SKY avverso la sentenza (già oggetto di commento su questa Newsletter) con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR) aveva integralmente rifiutato il ricorso proposto dalla stessa SKY avverso la decisione (la Decisione) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) del 23 gennaio 2019, che a sua volta aveva sanzionato SKY per un ammontare complessivo di 7 milioni di euro per la condotta sopra menzionata.

In particolare, l’AGCM aveva contestato a SKY l’adozione di una pratica commerciale scorretta costituita da due condotte distinte: (i) in primo luogo, l’aver fornito informazioni ingannevoli ai potenziali nuovi clienti nella fase di presentazione dell’offerta ‘SKY Calcio’ (il Pacchetto Calcio) per la stagione 2018/2019, lasciando intendere che comprendesse tutti gli incontri di serie A, mentre invece così non era (come meglio spiegato di seguito) (la Condotta A); e (ii) l’aver indotto i propri clienti al mantenimento (a costo invariato) del precedente abbonamento (che comprendeva anche contenuti calcistici) – senza tuttavia fornire informazioni ritenute sufficienti in merito al ridimensionamento dei contenuti disponibili con il nuovo Pacchetto Calcio, offrendo inoltre agli abbonati la possibilità di recedere dal contratto solo a titolo oneroso (la Condotta B; congiuntamente alla Condotta A, le Condotte). Come chiarito dall’AGCM, entrambe le Condotte traevano origine dall’esito della gara indetta dalla Lega Calcio Serie A per l’assegnazione dei diritti per la trasmissione delle partite di serie A per la stagione 2018/2019, a seguito della quale SKY si era aggiudicata il 70% delle partite per ogni giornata del campionato, contrariamente agli anni precedenti, in cui l’offerta comprendeva appunto il 100% degli incontri di serie A.

Il CdS ha ritenuto infondati i motivi d’appello dedotti da SKY in riferimento alla condotta A. In particolare, il CdS: (a) ha considerato “inverosimile” l’interpretazione della nozione di ‘consumatore medio’ fornita da SKY, poiché non ha tenuto in conto l’eterogeneità sociale e culturale dei consumatori italiani, preferendo invece individuare nel ‘consumatore medio’ il tifoso appassionato; (b) ha affermato che la condotta posta in essere da SKY ha avuto natura ‘commissiva’ e non ‘omissiva’ – come invece sostenuto da SKY – in quanto si sarebbe concretizzata nella promozione di un’offerta (ossia il Pacchetto Calcio) piuttosto che in una mera omissione di informazioni; e (c) ha concluso che i messaggi promozionali non avevano una funzione pubblicitaria generale, ma fossero invece mirati alla promozione del Pacchetto Calcio, stanti gli espliciti riferimenti all’offerta calcistica relativa alla stagione 2018/2019.

In merito alla Condotta B, il CdS ha invece ritenuto fondati inter alia il secondo, il terzo ed il quarto motivo d’appello avanzati da SKY e concernenti la legittimità della qualificazione come pratica commerciale aggressiva. In particolare, SKY ha dedotto di non aver posto in essere alcun indebito condizionamento ponendo il consumatore dinanzi alle due scelte a fronte dell’aggiudicazione dei diritti di trasmissione calcistici. Secondo SKY, infatti, non si è verificata alcuna modificazione unilaterale del contratto, le cui condizioni generali peraltro non garantivano un numero minimo di partite. A tal proposito, la variabilità dei contenuti del Pacchetto Calcio si legherebbe inevitabilmente agli esiti delle gare della Lega Calcio Serie A, ed è pertanto prevista nelle condizioni generali dell’abbonamento SKY, che il consumatore sottoscrive.

A tal riguardo, il CdS ha specificamente sottolineato come al consumatore SKY abbia permesso di: (a) mantenere il contratto in essere; (b) effettuare un downgrade dell’abbonamento, eliminando la sottoscrizione del Pacchetto Calcio, con una corrispondente riduzione del canone; o (c) recedere dal contratto corrispondendo i costi relativi al recupero del decoder e l’importo di sconti fruiti in caso di mancato rispetto del termine minimo di durata del contratto. Alla luce di ciò, pertanto, il CdS ha concluso che tali condizioni non configurano l’esistenza di un indebito condizionamento del consumatore nell’ambito di una pratica commerciale aggressiva e ha quindi annullato la decisione dell’AGCM in relazione alla Condotta B, annullando la sanzione relativa e di un ammontare pari a circa 4 milioni di euro. Come detto, invece, il CdS ha confermato la sanzione irrogata dall’AGCM, di 3 milioni di euro, in merito alla Condotta A, ritenendola congrua in base a diversi parametri, quali: (i) la gravità della condotta, indirizzata ad appassionati del settore, dunque consumatori facilmente influenzabili; (ii) il fatto che SKY sia una società leader nel suo settore, con fatturato superiore a 3 miliardi di euro; (iii) la vasta platea di consumatori raggiunta dai mezzi digitali utilizzati per la promozione del Pacchetto Calcio.

Con la sentenza in commento il CdS ha sottolineato l’importanza della nozione di ‘consumatore medio’, sancendo l’impossibilità di un’interpretazione che non tenga conto della diversità socio-culturale caratteristica di ampie platee di consumatori; nonché enfatizzato la gravità di pratiche commerciali scorrette quando siano poste in essere nei confronti di soggetti facilmente influenzabili poiché appassionati, come, in questo caso, i tifosi di calcio italiani.

Allegra Tucci

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti e imprese pubbliche – Alla CGUE l’applicabilità del Codice Appalti settori speciali a imprese pubbliche soggette all’influenza dominante di una società operante nei settori speciali

Con ordinanza del 7 maggio 2024 (l’Ordinanza), il TAR Lazio ha sollevato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) in merito all’applicabilità della Direttiva 2014/25/UE (la Direttiva settori speciali) ad un’impresa pubblica, in quanto soggetta all’influenza dominante di un organismo di diritto pubblico, operante nei settori speciali.

In particolare, il TAR si è chiesto se la Direttiva settori speciali potesse essere applicata ad una impresa partecipata totalmente da un una società operante in questi settori (acqua, energia, trasporti e servizi postali), che però svolge per questa servizi accessori e, come tali, estranei rispetto a quelli inclusi nella disciplina speciale.

La vicenda nasce quando Ferservizi, un’impresa pubblica controllata al 100% da Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. (FSI) affida al Consorzio Nazionale Servizi Soc. Coop. (CNS) il servizio di mutliservice e pulizia degli immobili delle società controllate da FSI. L’affidamento viene impugnato dalla società Team Service Società Consortile a r.l. davanti al TAR Lazio.

Secondo la ricorrente l’affidamento sarebbe illegittimo perché anche Ferservizi avrebbe dovuto applicare la normativa prevista per i settori speciali.

Nell’analizzare la questione, il TAR ribadisce che un’impresa può rientrare nell’applicazione della direttiva settori speciali se sono soddisfatti due requisiti: il primo, soggettivo, secondo il quale l’impresa deve operare nei settori speciali; il secondo, oggettivo, secondo il quale lo specifico appalto deve avere ad oggetto attività inerenti ai settori speciali.

Nel caso in esame, l’appalto aveva ad oggetto servizi non inerenti ai settori speciali, in quanto limitati alla pulizia degli uffici delle società facenti parte del gruppo FSI, aggiudicati da un soggetto che formalmente non operava nei settori speciali. Di conseguenza, il contratto in esame non sarebbe soggetto né al codice appalti settori speciali, non rientrando l’attività nel novero delle attività considerate dalla Direttiva 25/2014, né al codice appalti ordinario, non determinandosi alcuna riespansione della disciplina del settore ordinario.

Secondo il Tar, questa posizione porterebbe uno scenario in cui un organismo di diritto pubblico, operante nei settori speciali (nella fattispecie FSI), e per questo soggetto alla Direttiva settori speciali, potrebbe eludere il controllo delle Direttive semplicemente affidando il compito di appaltare servizi accessori ad un’impresa pubblica sua controllata (nella fattispecie Ferservizi), mettendo così a rischio la tenuta delle regole concorrenziali dell’Unione Europea.

Il TAR quindi si rivolge alla CGUE per statuire se un’impresa pubblica controllata da un organismo di diritto pubblico debba essere soggetta al controllo della Direttiva, in relazione ad appalti non inerenti ai settori speciali della Direttiva, ma aventi ad oggetto servizi in favore dell’organismo pubblico controllante o delle sue controllate.

In attesa della pronuncia della CGUE, ciò solleva quesiti di grande rilevanza per il panorama degli appalti pubblici. In particolare, se la risposta della CGUE dovesse essere affermativa, ciò amplierebbe significativamente l’ambito di applicazione della Direttiva alle imprese pubbliche.

Gianguido Ghelardi

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