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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 2 settembre 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Antitrust e abusi escludenti – La Commissione europea lancia una consultazione sulla bozza di linee guida sugli abusi escludenti

La Commissione europea (la Commissione) ha lanciato lo scorso 1° agosto una consultazione pubblica sulla bozza delle (da tempo attese) linee guida sugli abusi di posizione dominante per condotte escludenti (le Linee guida). La principale novità che si propone di introdurre è una categorizzazione delle diverse condotte e la relativa ripartizione dell’onere probatorio, inclusa la presunzione che talune condotte siano capaci di produrre effetti escludenti.

Si tratta dell’ultimo passo della Commissione nell’ammodernamento degli Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 102 TFUE al comportamento delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti del 2008 (gli Orientamenti). Nel marzo 2023 la Commissione aveva già preannunciato l’introduzione di linee guida, pubblicando un Policy Brief che definiva la direzione, oltre che introdurre un aggiornamento provvisorio degli Orientamenti (si veda il nostro precedente blog).

La bozza di Linee guida include una ricognizione sui principi che regolano (i) l’identificazione di una posizione dominante individuale o collettiva, (ii) gli specifici test giuridici per verificare se determinate tipologie di condotte (fornitura in esclusiva, rifiuto a contrarre, prezzi predatori, compressione dei margini – c.d. margin squeeze – e alcune tipologie di tying) abbiano carattere abusivo e (iii) le condizioni ai sensi delle quali la Commissione potrà valutare argomentazioni difensive connesse all’oggettiva giustificazione di una condotta (tra cui necessità tecniche quali quella di migliorare o mantenere la qualità/performance di un prodotto o servizio) ovvero fondate su ragioni di efficienza.

L’aspetto di maggior rilievo attiene ai principi applicabili alla qualificazione delle condotte operata dalla Commissione e della ripartizione dell’onere probatorio.

Al riguardo, la bozza di Linee guida ribadisce il quadro di riferimento per applicare l’art. 102 TFEU, ossia che per accertare un abuso è necessario dimostrare che una condotta (i) si discosta dalla “concorrenza basata sul merito”; (ii) è capace di produrre effetti escludenti e (iii) non è oggettivamente giustificabile. La Commissione deve provare (i) e (ii) mentre sta all’impresa oggetto di indagine dimostrare (iii).

Sotto il primo profilo, la bozza di Linee guida cerca di fornire elementi atti a chiarire il concetto di “concorrenza basata sul merito”, non necessariamente con successo, stante la permanenza di declinazioni generiche passibili di diverse interpretazioni che meriterebbero un maggior livello di concretizzazione o, quantomeno, alcune esemplificazioni, quali i “…comportamenti che appartengono all’ambito di una normale concorrenza basata sui risultati degli operatori economici…” ovvero “…le situazioni di concorrenza da cui i consumatori traggono profitto mediante prezzi meno elevati, una qualità migliore e una scelta più ampia di beni e servizi nuovi o più efficienti…”. Di contro, ma con analogo livello di ambiguità, i “…comportamenti privi di interesse economico […] ad eccezione di quello di restringere la concorrenza…” sono considerati non basati sulla concorrenza sul merito. Inoltre, si indicano quali fattori rilevanti per verificare se una condotta si allontana dalla concorrenza basata sul merito, ad esempio, (i) l’eventualità che l’impresa dominante impedisca ai consumatori di esercitare una scelta in base ai meriti dei prodotti, compresa la qualità; (ii) l’eventualità che l’impresa dominante violi altre norme settoriali; (iii) l’eventualità che l’impresa dominante modifichi il proprio comportamento in un modo “anormale o irragionevole”, ad esempio mettendo fine in modo ingiustificato a un rapporto d’affari esistente o (iv) l’eventualità che un ipotetico concorrente altrettanto efficiente non sarebbe in grado di adottare il medesimo comportamento, perché basato sull’utilizzo di risorse o di mezzi propri solo dell’operatore dominante (§55 e ss.).

Sotto il secondo profilo (ossia la capacità di produrre effetti escludenti), la bozza di Linee guida introduce tre categorie di condotte, ciascuna caratterizzata da un diverso onere probatorio. La prima, in cui spetta alla Commissione provare la capacità di produrre effetti escludenti e altre due in cui tali effetti possano essere presunti, sebbene con un diverso ambito applicativo di tali presunzioni:

  • la prima categoria include le condotte per cui la Commissione deve dimostrare che hanno “la capacità di produrre effetti escludenti”. Sebbene tali effetti debbano essere più che ipotetici (ma non necessariamente attuali, tangibili), le Linee Guida fissano una soglia probatoria relativamente bassa per la Commissione, che esplicita una lista di fattori che, al contrario, la Commissione non è tenuta a dimostrare (impostazione che non sembra emergere inequivocabilmente dalla giurisprudenza applicabile), tra cui la capacità di escludere concorrenti almeno “altrettanto efficienti”, un intento di escludere, ovvero un pregiudizio per i consumatori. Di contro, i fattori ritenuti pertinenti per valutare la capacità escludente di un comportamento includono la posizione dell’operatore dominante sul mercato anche in relazione ai propri concorrenti, le condizioni del mercato, la portata della condotta oggetto di indagine e l’esistenza di prove circa una strategia escludente (con riferimento alla quale i documenti interni delle società oggetto di indagine svolgeranno con ogni probabilità un ruolo centrale), oltre a eventuali considerazioni basate sull’evoluzione dei mercati rilevanti. In tale contesto, l’importanza del test del c.d. dell’“operatore altrettanto efficiente” sembrerebbe venire meno e essere confinata a limitate tipologie di condotte.
  • La seconda categoria include alcune condotte (ad esempio accordi di esclusiva, sconti di esclusiva, prezzi predatori) che – se fattualmente provate – possono essere presunte come di per sé capaci di produrre effetti escludenti. Si tratta di una presunzione semplice e, pertanto, l’impresa indagata potrà presentare elementi per confutare tale presunzione (ad esempio, un distanziamento fattuale dagli assunti/fatti che hanno dato origine alla presunzione ovvero prove sulla mera teoricità dei presunti effetti escludenti). La Commissione sarà tenuta ad esaminare tali prove.
  • La terza categoria include le “restrizioni manifeste”, ritenute (evocando la familiare qualificazione di restrizione “per oggetto” ai sensi dell’art. 101 TFUE) “idone[e], per loro stessa natura, a restringere la concorrenza” e rispetto a cui si ritiene che l’impresa sarà in grado di superare la presunzione di sussistenza di effetti escludenti solo eccezionalmente. Ad esempio, tali ipotesi includono lo smantellamento di una parte di infrastruttura utilizzata da un concorrente o il pagamento corrisposto ai clienti per annullare o ritardare il lancio di un prodotto che incorpora un input di un concorrente.

Nel complesso, le Linee Guida introducono un’impostazione sistematica che sembra, da un lato, in qualche misura, allontanarsi da quello che era sembrato il favor della giurisprudenza euro-unitaria verso una valorizzazione dell’analisi degli effetti di una condotta potenzialmente escludente, dirigendosi quindi verso un rinnovato “formalismo” e, dall’altro, operare una semplificazione probatoria in favore della Commissione, ribaltando un maggior sforzo probatorio alle imprese oggetto di indagine.

I soggetti interessati possono trasmettere le proprie osservazioni entro il 31 ottobre 2024. Sarà interessante seguire il processo con cui la Commissione finalizzerà il testo, verosimilmente anche alla luce delle osservazioni ricevute e delle più recenti sentenze della Corte di Giustizia attese nelle prossime settimane su alcuni dei temi toccati anche dalle Linee Guida.

Cecilia Carli

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Intese e settore bancario – La Corte di Giustizia si pronuncia in sede di rinvio pregiudiziale affermando che lo scambio di informazioni sensibili può costituire una restrizione “per oggetto”

Con la sentenza pubblicata lo scorso 29 luglio, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) si è pronunciata in merito ad un rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisão portoghese (il Tribunale) relativamente alla natura di restrizione “per oggetto” di uno scambio di informazioni “autonomo” (ossia non accessorio a una più ampia intesa o pratica concordata restrittiva della concorrenza) avvenuto tra diversi enti creditizi.

La vicenda trae origine da un provvedimento dell’Autorità della concorrenza portoghese (l’Autorità) con il quale quest’ultima aveva sanzionato diverse banche attive in Portogallo per aver partecipato ad uno scambio di informazioni sulle condizioni applicabili alle operazioni creditizie. Ciò sarebbe avvenuto in violazione dell’Art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e delle corrispondenti disposizioni nazionali.

L’Autorità aveva ritenuto che questo scambio di informazioni costituisse una restrizione per “oggetto”, e che dunque non fosse necessario accertare né gli eventuali effetti sul mercato, né se tale scambio fosse accessorio ad un’altra forma di pratica concordata restrittiva della concorrenza.

Gli enti creditizi avevano dunque impugnato il provvedimento dell’Autorità dinanzi al Tribunale, sostenendo come il menzionato scambio di informazioni non potesse qualificarsi come restrizione “per oggetto”, non essendo, di per sé, sufficientemente dannoso per la concorrenza.

Investita in via pregiudiziale di tale questione, la CGUE preliminarmente chiarisce le condizioni affinché un’intesa , possano essere qualificati come restrizione “per oggetto”. In particolare, ad avviso della CGUE, occorre esaminare, nell’ordine:

  • i termini dell’intesa, al fine di determinare se essi, per le loro caratteristiche, rivelino un elevato grado di nocività per la concorrenza;
  • il contesto economico e giuridico in cui si inserisce l’intesa, senza tuttavia che ciò comporti un vero e proprio esame dei suoi effetti. Tale esame dovrebbe consentire di verificare che nessuna circostanza particolare sia tale da rimettere in discussione la presunzione di nocività per la concorrenza;
  • gli scopi perseguiti dall’intesa, in modo da determinare se, dal punto di vista oggettivo, lo scopo diretto e immediato della Pratica non possa spiegarsi altrimenti se non con il perseguimento di un obiettivo contrario ad uno degli elementi costitutivi della libera concorrenza.

Sulla scorta di questi principi, la CGUE osserva che lo scambio di informazioni in oggetto costituisce una restrizione “per oggetto”.

Con riferimento ai termini dell’intesa in esame, la CGUE ricorda che la mera circostanza che determinate informazioni siano scambiate prima di diventare effettive o pubbliche è sufficiente a dimostrare che detto scambio aveva la capacità di ridurre l’incertezza nella mente dei partecipanti allo scambio di informazioni circa i comportamenti futuri degli altri enti creditizi partecipanti, quand’anche l’incertezza che avrebbe colpito gli altri concorrenti si fosse dissipata poco tempo dopo. Infatti, anche considerando che sia impossibile per i partecipanti a tale scambio prendere immediatamente in considerazione tali informazioni al fine di modificare immediatamente il loro comportamento sul mercato “…resta il fatto che qualsiasi scambio vertente su intenzioni future non già rivelate consentiva a tali partecipanti di reagire in ogni caso più rapidamente di quanto avrebbe consentito il normale funzionamento del mercato di cui tratta”.

Quanto alla possibile giustificazione della condotta in parola, la CGUE rigetta l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui lo scambio di informazione in parola facilitava l’attività di benchmarking, consentendo ai partecipanti di confrontare le rispettive offerte, riducendo al contempo i costi associati a tale esercizio di comparazione. In proposito, la CGUE ritiene che “…gli scambi di informazioni vertenti sui migliori metodi di gestione o di produzione da attuare possono essere tali da favorire la concorrenza e non si può quindi ritenere che introducano una restrizione per oggetto. Tuttavia, ciò non può avvenire nel caso di scambi di informazioni riservate vertenti, per l’appunto, sulle intenzioni future dei partecipanti a tali scambi in merito ad uno dei parametri in base ai quali si stabilisce la concorrenza sul mercato di cui trattasi…” (questo anche laddove tale parametro sia utilizzato anche solo come punto di partenza delle trattative individuali).

Un punto particolarmente importante della sentenza in commento (e che a ben vedere sembrerebbe essere un obiter, dato che nel caso di specie le informazioni oggetto di scambio non erano genuinamente pubbliche), è la valutazione secondo cui uno scambio di informazioni può costituire una violazione “per oggetto” anche “… qualora il suo contenuto riguardi informazioni che, indipendentemente dal loro carattere sensibile o riservato, sono tali che, nel contesto in cui avviene tale scambio, non possono che indurre i partecipanti […] a seguire tacitamente una stessa linea di condotta per quanto riguarda uno dei parametri in base ai quali si stabilisce la concorrenza sul mercato di cui trattasi…”. Per pervenire a una siffatta valutazione, tuttavia, occorre tener conto anche del contesto economico in cui si inserisce lo scambio, sicché la conclusione citata sembrerebbe essere valida in contesti in cui le imprese coinvolte non devono temere la reazione di concorrenti o consumatori, come accade in mercati fortemente concentrati e caratterizzati da forti barriere all’ingresso.

La pronuncia della CGUE, in buona parte allineandosi alle conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos (già oggetto di commento della presente Newsletter), sistematizza, da un lato, le suggestioni della precedente giurisprudenza sulla distinzione tra restrizioni “per oggetto” e restrizioni “per effetto”, svolgendo interessanti considerazioni (di cui sarà opportuno tenere conto in un’ottica di compliance) secondo cui è possibile che – a determinate condizioni – anche lo scambio di informazioni non riservate può essere qualificabile come restrizione “per oggetto”.

Samuel Scandola

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Foreign Subsidies Regulation e poteri ex officio – Il Tribunale dell’UE ha respinto l’istanza cautelare per la sospensione della decisione della Commissione di ispezionare la corrispondenza interna all’impresa oggetto di indagine

Con l’ordinanza del 12 agosto 2024, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha respinto l’istanza di sospensione cautelare presentata da alcune società attive all’interno dell’Unione europea (le Ricorrenti), controllate da Nuctech Hong Kong Co. Ltd, (a sua volta controllata da una capogruppo cinese quotata alla Borsa di Shanghai), avverso la decisione con cui la Commissione europea (la Commissione) ha avviato un’istruttoria ex officio per presunte violazioni del Regolamento UE sulle sovvenzioni estere distorsive della concorrenza (FSR) ed ha contestualmente effettuato ispezioni e richiesto informazioni alle Ricorrenti (la Decisione).

Nel corso delle ispezioni la Commissione aveva richiesto accesso al contenuto della posta elettronica di alcuni dipendenti e le Ricorrenti avevamo opposto a tale richiesta la circostanza che la corrispondenza interna fosse conservata su server localizzati nella Repubblica Popolare Cinese. A seguito dell’intimazione della Commissione a procurare i dati richiesti, le Ricorrenti hanno impugnato la Decisione della Commissione davanti al Tribunale, chiedendo contestualmente di sospendere in via cautelare l’efficacia della stessa.

L’impugnativa delle Ricorrenti si fonda su due principali motivi. Da un lato, la Commissione avrebbe violato il diritto internazionale, obbligandole alla produzione di informazioni situate al di fuori del proprio ambito territoriale di giurisdizione. Dall’altro, le Ricorrenti evidenziano come, laddove soddisfacessero le richieste della Commissione, infrangerebbero alcune norme di diritto cinese (incluse alcune norme penali) che impediscono di trasferire fuori dalla Repubblica Popolare Cinese alcune categorie di informazioni che sono conservate su server ivi localizzati.

Sulla prima questione, nel respingere il relativo motivo, il Tribunale ha ribadito il principio che condurre un’ispezione nei confronti di imprese costituite al di fuori dell’Unione europea non rappresenta di certo una novità ed è previsto dal diritto dell’Unione europea. Diversamente, la possibilità per la Commissione di adempiere ai propri compiti sarebbe compromessa e risulterebbe semplice per le imprese eludere le norme dell’Unione europea a tutela della concorrenza.

Sulla seconda questione, il Tribunale – avvalorando quanto già puntualizzato dalla Commissione – evidenzia come le Ricorrenti non abbiano prodotto alcuna evidenza che permetta di stabilire se le informazioni richieste dalla Commissione rientrino fra le informazioni il cui trasferimento all’estero è vietato dalle norme cinesi. Inoltre, il Tribunale rileva che, in ogni caso, tali informazioni ben potrebbero essere rese disponibili laddove le Ricorrenti avessero ottenuto una previa autorizzazione dal Governo della Repubblica Popolare Cinese, ma le Ricorrenti non risultano aver presentato alcuna richiesta per ottenere la suddetta autorizzazione.

Al contempo, in tema di periculum derivante dagli effetti della Decisione, le Ricorrenti avevano puntualizzato che le norme di diritto cinese in questione prevedono sanzioni pecuniarie e, in alcuni casi, la reclusione fino a sette anni. Sul punto, il Tribunale – dopo aver ribadito che la natura pecuniaria delle sanzioni renderebbe il pregiudizio sofferto puramente economico, suscettibile di essere compensato e, quindi, non irreparabile (anche se non è chiaro chi dovrebbe risarcire questo pregiudizio economico) – chiarisce che la pena della reclusione è riservata al trasferimento delle sole informazioni concernenti segreti di Stato e, nuovamente, le Ricorrenti non hanno fornito alcuna dimostrazione che la corrispondenza richiesta contenga segreti di Stato, né ha presentato richiesta per ottenere l’autorizzazione al trasferimento. Per questi motivi, il Tribunale ha respinto l’istanza cautelare.

L’ordinanza in commento, oltre a rappresentare la prima pronuncia giurisdizionale in tema di FSR, è molto interessante per mettere a fuoco alcuni aspetti pratici relativi all’applicazione del FSR e, in particolare, quelli relativi un conflitto (potenzialmente insanabile) tra norme eurounitarie e quelle di Paesi che adottano normative particolarmente stringenti in tema di trasferimento all’estero di dati in specifici settori.

Non resta che attendere la sentenza che si pronuncerà sulla validità della Decisione, che costituisce peraltro la prima istruttoria avviata ex officio ai sensi del FSR, per vedere se fornirà ulteriori chiarimenti sul tema. Nel frattempo, l’indicazione che sembra opportuno trarre dall’ordinanza in commento è che occorre argomentare in maniera precisa quali informazioni rientrino nel “divieto di esportazione” eventualmente previsto dalla normativa di Paesi terzi, nonché valutare con attenzione la possibilità di presentare formale istanza alle autorità terze eventualmente competenti al fine di ottenere l’autorizzazione al trasferimento dei dati richiesti dalla Commissione.

Irene Indino

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Diritto della concorrenza – Italia / Concentrazioni sotto-soglia e settore del cemento – Autorizzata con impegni la concentrazione riguardante il gruppo Alpacem e il gruppo Buzzi

Con il provvedimento dello scorso 23 luglio (la Decisione) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha autorizzato con impegni un’operazione avente inter alia ad oggetto l’acquisto da parte di Alpacem Cementi Italia S.p.A (Alpacem) del controllo esclusivo (i) della società Fanna S.r.l., controllata da Buzzi Unicem S.r.l. (Buzzi) e proprietaria inter alia di un impianto di produzione di cemento situato nell’omonima località, nonché (ii) di alcuni impianti di produzione di calcestruzzo (anch’essi controllati da Buzzi) tramite contratto di affitto di lunga durata (complessivamente, l’Operazione).

Nonostante l’Operazione non fosse soggetta ad obbligo di notifica preventiva, alla luce dei nuovi poteri di c.d. call-in delle operazioni sotto-soglia dell’AGCM, era stata oggetto di comunicazione volontaria e l’AGCM ne aveva quindi richiesto la notifica formale. Successivamente, l’AGCM aveva deliberato l’apertura di un’istruttoria (c.d. Fase II). Per un approfondimento sull’avvio della Fase II si rimanda alla nostra Newsletter dello scorso aprile.

L’AGCM ha focalizzato la sua analisi in particolare sul mercato della produzione e commercializzazione di cemento, nonché sul mercato della produzione e vendita di calcestruzzo (mentre non ha rilevato particolari criticità sul mercato della produzione e commercializzazione del clinker).

In merito al primo, l’AGCM ha rilevato come, in seguito all’Operazione, l’entità che sarebbe risultata dall’Operazione avrebbe detenuto quote significative (tra il 30% e il 45% a seconda delle modalità di calcolo), qualificandosi sempre come di gran lunga il maggiore operatore. L’AGCM ha ritenuto che gli impianti di Alpacem fossero i sostituti più diretti dell’impianto di Fanna di Buzzi e che gli altri operatori non avessero l’incentivo o la capacità a catturare la domanda eventualmente persa dalla merged entity a seguito di un eventuale aumento dei prezzi. Ciò sia in considerazione delle particolari “…relazioni stabili con i fornitori per ragioni di fiducia in termini di affidabilità e qualità…” (che sembra invero sorprendente per un prodotto sostanzialmente indifferenziato come il cemento, nonostante vi sia una pluralità di ricette e certificazioni relative alla produzione di calcestruzzo), sia in considerazione del fatto che la principale alternativa all’impianto di Fanna, comunque con aggravio di costi, sarebbero comunque impianti di proprietà di Buzzi, che attualmente condivide con Alpacem un gran numero di clienti e che, soprattutto, detiene il 25% di Alpacem stessa.

Secondo l’AGCM, la vendita dell’impianto di Fanna rafforzerebbe i rischi concorrenziali derivanti dalla partecipazione incrociata di Buzzi in Alpacem riducendo l’incentivo di Buzzi a competere in modo aggressivo. Infatti, Buzzi continuerebbe a trarre profitto (in misura maggiore post-Operazione) anche da eventuali perdite della propria domanda a favore del rivale e, allo stesso tempo, avrebbe un minore incentivo a conquistare quote di mercato da Alpacem perché ridurrebbe il valore del suo investimento nell’attività del rivale.

Con riferimento al calcestruzzo l’Operazione avrebbe portato a quote particolarmente rilevanti nella catchment area dell’impianto di Ronchi dei Legionari (con una quota superiore al 55%). L’Operazione si tradurrebbe altresì, secondo l’AGCM, in possibili strategie di input foreclosure parziale nei confronti dei clienti nei mercati del calcestruzzo. Alpacem sarebbe infatti in grado di “catturare” quote rilevanti della domanda di calcestruzzo persa dai suoi concorrenti dopo un aumento dei prezzi. Inoltre, anche in considerazione del fatto che il cemento incide per circa il 25% sul costo del calcestruzzo, secondo l’AGCM Alpacem sarebbe in grado di influenzare i costi dei suoi principali concorrenti a valle (raising rivals’ costs).

Le misure proposte dalle parti per risolvere le problematiche concorrenziali dell’Operazione sono state valutate come idonee dall’AGCM, che ne ha così autorizzato il completamento. Tali misure – che verranno monitorate da un trustee – riguardano inter alia:

  • l’impegno di Alpacem a offrire per un periodo fino a 3 anni (la durata esatta è confidenziale) ai clienti idonei (ossia coloro ai quali nel primo semestre del 2024 gli impianti di Alpacem e/o Fanna hanno fornito cemento in Italia) il diritto di acquistare cemento a condizioni pre-merger (con limitati aggiustamenti) per un volume totale massimo predeterminato dall’AGCM (interessante notare come la durata relativamente limitata dell’impegno sia stata ritenuta sufficiente “…alla luce dei possibili cambiamenti futuri nel mercato del cemento, che potrebbero modificarne gli equilibri concorrenziali, e delle esigenze di investimento legate alla decarbonizzazione…”).
  • l’impegno di Alpacem a concedere in affitto un impianto per la produzione di calcestruzzo (attualmente non operativo) situato nella catchment area di Ronchi dei Legionari per consentire ai concorrenti di entrare o ampliare immediatamente la propria presenza in tale mercato (la misura è stata idonea ad eliminare l’incentivo post-merger di Alpacem ad adottare un aumento unilaterale del prezzo del calcestruzzo); e
  • l’impegno di garantire che Buzzi non abbia alcun rappresentante negli organi di governance di Alpacem e che non abbia accesso a informazioni commercialmente sensibili relative alle operazioni degli impianti italiani del gruppo Alpacem.

La Decisione in commento risulta di notevole interesse in considerazione dalla particolarità del caso di specie – uno dei primi casi di Fase II di un’operazione sotto-soglia – nonché della natura (sostanzialmente non strutturale) e della durata delle misure ritenute dall’AGCM sufficienti a rimuovere i profili di problematicità concorrenziale dell’Operazione.

Fabio Bifarini

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti concessione e regolazione – La tutela all’anonimato nell’accesso ad esposti che segnalano prospettate condotte illecite

Con sentenza del 23 agosto scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria (il TAR) ha deciso una questione in tema di accesso in una vicenda relativa ad un esposto che segnalava una prospettata condotta illecita di un operatore (la Sentenza). La Sentenza consente l’accesso limitatamente al contenuto dell’esposto, ma conferma l’esigenza di mantenere l’anonimato sull’identità del soggetto che lo aveva presentato.

Il contenzioso trae origine da un esposto che denunciava la violazione di norme sanitarie da parte di una società che operava nel commercio all’ingrosso di cibi surgelati per animali. Ricevuto l’esposto, l’ASL 3 della Liguria eseguiva un’ispezione presso tale società la quale, successivamente, presentava istanza di accesso all’esposto al fine di comprendere le motivazioni della denuncia.

L’ASL rigettava la richiesta di accesso, ritenendo prevalente l’interesse alla riservatezza del segnalante. Il rigetto veniva confermato anche dal Difensore Civico della Regione Liguria, al quale la società aveva formulato istanza di riesame.
La società impugnava entrambe le decisioni davanti al TAR che, all’esito del giudizio, accoglieva parzialmente il ricorso in applicazione delle norme speciali contenute nel Regolamento Europeo 625/2017 in materia di mangimi e alimenti per animali.

Infatti, dopo aver rilevato che, in linea di principio, il nostro ordinamento non ammette una tutela verso denunce anonime, la Sentenza in esame ha rilevato che questo Regolamento Europeo impone espressamente agli Stati membri di (i) adottare una procedure idonea a ricevere segnalazioni circa prospettate violazione della normativa, (ii) dare una protezione adeguata alla persone che presentano le segnalazioni rispetto a ritorsioni e discriminazioni e (iii) garantire altresì una protezione dei dati personali delle persone che effettuano le segnalazioni.

Alla luce di tale disciplina, nel contemperamento tra le esigenze dell’accesso e quella alla riservatezza, il TAR ha ritenuto che andava riconosciuto l’accesso al contenuto dell’esposto, ma questo non poteva essere esteso anche ai dati che identificavano il soggetto che lo aveva presentato. In altre parole, anche se doveva consentirsi l’accesso all’esposto, doveva comunque garantirsi l’anonimato del soggetto segnalante.

La Sentenza è interessante perché applica una disciplina speciale in materia di accesso che anticipa l’analoga disciplina sugli stessi temi contenuta anche nel d.gls n. 24/2023 sul whistleblowing.

Nico Moravia