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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 4 novembre 2024
Diritto della concorrenza – Europa / Abusi e settore farmaceutico – Teva è stata sanzionata dalla Commissione europea per aver ritardato la concorrenza del Copaxone
Con il comunicato stampa del 31 ottobre 2024, la Commissione europea (la Commissione) ha sanzionato Teva Pharmaceutical Industries Limited e Teva Pharmaceuticals Europe BV (collettivamente, Teva) per un totale di 462,6 milioni di euro per un abuso di posizione dominante consistente nell’aver ritardato la concorrenza del suo farmaco per il trattamento della sclerosi multipla, ossia il Copaxone.
Teva è un gruppo farmaceutico attivo a livello globale il cui farmaco di maggior successo, ossia il Copaxone, ampiamente utilizzato per il trattamento della sclerosi, è basato sul principio attivo farmaceutico glatiramer acetato, per il quale Teva deteneva un brevetto che era scaduto nel 2015.
La Commissione ha riscontrato che Teva aveva l’obiettivo di ritardare la concorrenza e prolungare artificialmente l’esclusività del Copaxone, ostacolando l’ingresso sul mercato e la diffusione di farmaci concorrenti a base di glatiramer acetato a prezzo più basso, mediante due tipi di condotte.
In primo luogo, la Commissione ha accertato che Teva ha abusato delle procedure brevettuali: quando il brevetto che proteggeva il glatiramer acetato stava per scadere, Teva ha artificiosamente esteso la protezione brevettuale del Copaxone, utilizzando strumentalmente le regole e le procedure dell’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) sui brevetti divisionali. Nello specifico, i brevetti divisionali derivano da una domanda di brevetto “madre” precedente e condividono contenuti simili ma possono concentrarsi su aspetti diversi dell’invenzione e sono trattati in modo indipendente quando si tratta di valutarne la validità. In questo caso specifico, Teva ha presentato domande di brevetto divisionale in modo scaglionato, creando una rete di brevetti secondari intorno al Copaxone, incentrati sul processo di produzione e sul regime di somministrazione del glatiramer acetato. I concorrenti hanno contestato tali brevetti per poter avere accesso al mercato. Mentre l’EPO stava esaminando la questione, Teva ha iniziato a far valere giudizialmente questi brevetti contro i concorrenti richiedendo ingiunzioni provvisorie. Quando, nell’ambito di tali giudizi i brevetti sembravano destinati a essere revocati, Teva li ha ritirati strategicamente, per evitare una sentenza formale di invalidità che avrebbe creato un precedente e messo a rischio l’efficacia degli altri brevetti divisionali. Così facendo, Teva ha costretto i concorrenti ad avviare ripetutamente nuove azioni legali ognuna con una durata considerevole. Questa tattica ha permesso a Teva di creare incertezza legale sui suoi brevetti, prolungandone artificialmente gli effetti e, potenzialmente, di ostacolare l’ingresso di farmaci concorrenti a base di glatiramer acetato, nonostante tutti i brevetti divisionali di Teva siano stati successivamente annullati.
In secondo luogo, Teva ha attuato una campagna di denigrazione sistematica contro un farmaco concorrente a base di glatiramer acetato per il trattamento della sclerosi multipla, diffondendo informazioni fuorvianti sulla sua sicurezza, efficacia ed equivalenza terapeutica con il Copaxone. Teva lo ha fatto nonostante le autorità sanitarie competenti avessero approvato il farmaco concorrente e ne avessero confermato la sicurezza, l’efficacia e l’equivalenza terapeutica con il Copaxone. La campagna denigratoria di Teva ha preso di mira le principali parti interessate, tra cui medici e responsabili delle decisioni nazionali in materia di prezzi e rimborsi dei farmaci, con l’obiettivo di rallentare o bloccare l’ingresso del prodotto concorrente in diversi Stati membri.
La Commissione conclude che gli abusi di Teva appena descritti hanno costituito una violazione unica e continuata dell’articolo 102 del TFUE.
L'indagine della Commissione ha evidenziato che Teva ha abusato della sua posizione dominante nei mercati del glatiramer acetato in Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna. Tale abuso sarebbe durato tra i 4 e i 9 anni a seconda dello Stato membro e, secondo quanto riportato dalla Commissione, potrebbe aver impedito la diminuzione dei prezzi di listino, con un impatto negativo sui bilanci della sanità pubblica. Ciò è confermato dal fatto che, una volta che il prodotto rivale è entrato nel mercato, i prezzi di listino sono diminuiti fino all’80%.
La decisione appare interessante perché i documenti dei legali in-house coinvolti nella progettazione della strategia anticompetitiva per proteggere il Copaxone sembrerebbero aver avuto un ruolo decisivo per la prova dell’infrazione.
Mila Crispino
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Diritto della concorrenza – Italia / Consultazioni pubbliche e programmi di clemenza – L’AGCM ha pubblicato la bozza di modifica alla Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ed ha avviato la consultazione pubblica in merito a tale testo
In data 22 ottobre 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato la consultazione pubblica sulla bozza di modifiche alla Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni (la Comunicazione) ai sensi dell’articolo 15 bis, comma 1, della legge n. 287 del 1990.
Come indicato nella Relazione illustrativa (la Relazione Illustrativa), l’AGCM intende apportare diverse modifiche – sia sostanziali, sia formali – alla Comunicazione, chiarendo le modalità di presentazione e di valutazione delle domande di clemenza.
Una prima serie di modifiche di tipo sostanziale intendono chiarire le ipotesi di immunità totale dalla sanzione, contemplate all’articolo 15-bis, comma 3, lettera c, della legge n. 287 del 1990. Nello specifico il programma prevede che la sanzione non si applica all’impresa che per prima riveli la sua partecipazione ad un cartello segreto e fornisca elementi probatori che (i) consentano all’AGCM di effettuare un accertamento ispettivo mirato riguardo al cartello segreto; ovvero che (ii) siano sufficienti per constatare che un’infrazione ricada nell’ambito della Comunicazione. In entrambi i casi è precisato che non si applica l’esenzione dalla sanzione qualora l’AGCM, al momento della dichiarazione da parte dell’impresa, sia già in possesso di elementi probatori sufficienti per decidere di effettuare l’accertamento ispettivo o per constatare l’infrazione.
In merito alle forme di clemenza rappresentate dalla riduzione delle sanzioni per le imprese che rivelino ex post la propria partecipazione al cartello, l’AGCM, oltre a confermare che tale riduzione è accordata solo laddove gli elementi probatori forniti costituiscano un valore aggiuntivo significativo, ha previsto l’inserimento di nuove forcelle di riduzione delle sanzioni ed ha individuato tre fasce: 1) il primo richiedente potrà ottenere una riduzione tra il 25% e il 45% del valore della sanzione; 2) al secondo richiedente è accordata una riduzione fino al 25%; 3) ai richiedenti successivi può essere concessa una riduzione massima del 20%.
Un’altra modifica è stata apportata alle condizioni generali per l’applicazione del trattamento favorevole sulla base nel nuovo articolo 15 quater, comma 1, lettera c, – il quale dispone che il richiedente non debba distruggere o alterare gli elementi probatori nel periodo in cui vuole presentare la domanda. In seguito all’aggiornamento, viene ora chiarito che il trattamento favorevole non viene meno qualora l’impresa dimostri che è stato impossibile evitare la distruzione, la falsificazione o l’alterazione delle prove.
Rispetto alle modalità di presentazione della domanda, l’AGCM ha specificato che in caso di pluralità di domande di clemenza, la collocazione di ciascuna di queste nell’ordine cronologico è determinata a seconda della modalità di presentazione e di conseguenza (i) se la domanda è presentata presso la sede dell’AGCM, fa fede la data e l’ora della ricevuta rilasciata al momento della consegna; (ii) se la domanda è inoltrata tramite posta, è rilevante la data e l’ora della ricezione da parte dell’AGCM; (iii) se la domanda è presentata in forma orale si considera la data e l’ora della presentazione della domanda orale, come attestate da apposito verbale redatto dai funzionari che ricevano la domanda.
Ancora, con riferimento alla valutazione della domanda ed alla restituzione o al mantenimento della documentazione probatoria, l’AGCM distingue che (i) quando viene constatata l’insussistenza dei requisiti per la non imposizione delle sanzione o per la riduzione della stessa, l’impresa può ritirare gli elementi di prova trasmessi; (ii) qualora invece l’impresa sia stata ammessa al programma di clemenza, ma in maniera condizionata, e successivamente abbia perso l’ammissione al beneficio, la documentazione rimane depositata agli atti dell’AGCM.
Infine, nella Comunicazione viene specificato che l’accesso alle dichiarazioni è consentito solo ai partecipanti del cartello destinatari della comunicazione delle risultanze istruttorie, mentre rimane escluso – così come previsto ante modifica– ai soggetti terzi, anche se intervenuti nel procedimento.
Le modifiche apportate alla Comunicazione – che si applicherà ai procedimenti avviati successivamente alla sua approvazione e pubblicazione in forma definitiva – sono, secondo quanto dichiarato dall’AGCM, volte a perseguire l’obiettivo finale di incentivare le imprese a partecipare alle domande di clemenza e a presentare domande di immunità prima che l’AGCM abbia conoscenza del cartello. Tuttavia, le modifiche appiano non di particolare portata e, quindi, non in grado di modificare l’assetto degli incentivi che si è venuto a creare a seguito dello sviluppo del private enforcement. Infine, appare che anche i chiarimenti finalizzati a fornire maggiore certezza giuridica – quali le precisazioni relative alla data di decorrenza delle domande di clemenza – non sembrano tenere conto della realtà rappresentata dal fatto che le stesse sono per lo più formulate in via orale e che, pertanto, sarebbe necessario garantire la tempestività soprattutto di queste ultime.
Non resta che attendere l’esito della consultazione.
Margherita Zucchini
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Tutela dei consumatori / Pratiche commerciali scorrette e settore dei servizi online – L’AGCM ha sanzionato ByMètis Cancellation B.V., piattaforma online attiva nel servizio di predisposizione e invio di c.d. “lettere di cancellazione”
Con la decisione dello scorso 8 ottobre (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha comminato due sanzioni da 10.000 euro ciascuna alla società olandese ByMètis Cancellations B.V. (Mètis) per le due pratiche commerciali scorrette da questa poste in essere in violazione degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo.
Secondo l’AGCM Mètis, tramite il proprio sito italiano, ha violato i diritti dei consumatori in relazione al proprio servizio di predisposizione, stampa ed invio di c.d. “lettere di cancellazione” per risolvere i rapporti contrattuali di durata (abbonamenti o utenze), ovvero rapporti giuridici con associazioni. Le pratiche contestate si riferiscono a due condotte specifiche:
a) aver strutturato il sito dal punto di vista grafico-contenutistico in maniera da indurre i consumatori a credere che il servizio offerto fosse gratuito, non chiarendone il carattere oneroso, falsando il comportamento dei consumatori anche tramite l’indicazione, sia sul sito, sia nella corrispondenza, di riferimenti non chiari ed equivoci circa la propria identità e ubicazione, in violazione degli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo (Condotta A);
b) aver esercitato indebite pressioni sui consumatori, tramite ripetute richieste e solleciti a mezzo postale, via e-mail e sms, per indurli a pagare i pretesi corrispettivi del servizio, nonché ulteriori somme a titolo di costi di riscossione, mediante la minaccia di possibili azioni legali e dell’addebito delle relative spese, condizionandoli indebitamente a pagare senza contestazioni, in violazione degli articoli 20, 24 e 25 del Codice del Consumo (Condotta B).
Dall’istruttoria è emerso che Mètis riusciva a raggiungere, mediante i propri link sponsorizzati, i consumatori intenzionati a risolvere un determinato rapporto contrattuale o associativo che digitassero nel motore di ricerca parole chiave come “rescindere”, “cancellare”, “annullare” o “disdire”, associate al nome del fornitore del servizio che intendevano interrompere. Cliccando detti link, il consumatore “atterrava” non sulla homepage del sito, nella quale era posto un footer a caratteri minori con il costo del servizio, ma direttamente su una sua pagina dedicata alla cancellazione dello specifico servizio cercato, recante, da un lato, un modulo da compilare e, dall’altro, un esempio illustrativo di lettera di disdetta, ma nessun riferimento specifico circa costi o corrispettivi previsti per l’utilizzo.
Compilato il modulo con i propri dati (ivi inclusi indirizzo, e-mail e numero di cellulare), il consumatore vedeva la lettera di risoluzione completarsi automaticamente; il consumatore, sicuro della gratuità del servizio, era poi invitato a confermare la disdetta, salvo poi essere raggiunto nei tre mesi successivi da numerosi (fino a 19) solleciti di pagamento tramite posta, e-mail ed SMS.
Mètis, nel contesto delle proprie argomentazioni difensive volte a contestare le allegazioni di cui sopra, ha eccepito, in sostanza: (i) la mancata chiarezza della comunicazione d’avvio, (ii) il mutamento di una delle contestazioni in seguito alla conclusione dell’istruttoria, (iii) le tempistiche di accesso al fascicolo, e (iv) il numero limitato di reclami ricevuti rispetto ai consumatori italiani effettivamente serviti.
L’AGCM su tali punti ha replicato che: (i) a Mètis è stata fornita una traduzione di cortesia della Comunicazione d’avvio e le interlocuzioni sono sempre avvenute in inglese, sebbene nessuna norma imponga all’AGCM di utilizzare la lingua del paese in cui ha sede legale il professionista che opera in Italia; (ii) secondo costante giurisprudenza, è sufficiente in avvio una specificazione dei fatti e del contesto normativo tale da consentire di rendersi conto anche della violazione di norme ulteriori laddove fondatamente ipotizzabile sulla base di quanto contestato, essendo possibile che soltanto all’esito dell’istruttoria risultino puntualizzate definitivamente tutte le norme in effetti violate; (iii) è stata la richiesta d’accesso ad essere formulata solo in una fase molto avanzata del procedimento, influenzandone le tempistiche; ed, infine, (iv) essendo le pratiche commerciali scorrette un illecito di pericolo, la loro offensività è determinata sulla base della potenzialità lesiva del comportamento della società, non del numero di segnalazioni in concreto ricevute.
Le misure adottate, a guisa di ravvedimento operoso, sono state considerate comunque in senso favorevole ai fini del calcolo della sanzione, che è stata molto limitata (euro 20.000 totali). In particolare, (i) l’aver apportato alcune modifiche alla strutturazione grafico-contenutistica del proprio sito, tale da far ritenere cessata la Condotta A e (ii) l’aver interrotto spontaneamente la propria operatività nei confronti dei consumatori italiani, cessando anche la Condotta B.
Eleonora Colombo
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Pratiche commerciali scorrette e settore postale – Il Consiglio di Stato conferma due sanzioni irrogate a Poste per pratiche commerciali scorrette nella promozione di alcuni prodotti
Con le due sentenze n. 8549/2024 (la Sentenza 8549) e 8610/2024 (la Sentenza 8610, collettivamente le Sentenze), il Consiglio di Stato (il CdS) ha respinto integralmente gli appelli promossi da Poste Italiane S.p.A. (Poste) avverso le pronunce del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) di conferma delle sanzioni irrogate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) a Poste per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette nella promozione di un servizio di posta raccomandata (nel caso della Sentenza 8549 – il Primo Procedimento), e di un servizio di remunerazione di conti correnti postali (nel caso della Sentenza 8610 – il Secondo Procedimento).
Benché, dunque, le Sentenze abbiano ad oggetto vicende del tutto indipendenti tra loro, la trattazione congiunta da parte del CdS si è giustificata per la comunanza di diversi elementi oggetto di censura da parte dell’AGCM, attinenti alla diffusione di messaggi pubblicitari omissivi e ingannevoli da parte di Poste.
In particolare, il Primo Procedimento – conclusosi nel 2010 – aveva avuto ad oggetto la promozione del servizio “Raccomandata 1”, che prevedeva la consegna di tale tipologia di missive in un giorno. Secondo l’AGCM, a fronte della notevole enfasi posta sulla celerità del servizio, Poste aveva omesso di informare i consumatori circa la possibilità di incorrere in (non infrequenti) ritardi nelle consegne, nonché della maturazione del diritto al rimborso per la consegna tardiva soltanto per i ritardi compresi tra il terzo e il quindicesimo giorno dall’invio della missiva. Omissioni, queste, particolarmente rilevanti, specialmente alla luce dei numerosi casi in cui le consegne non avvenivano in un giorno, bensì in due giorni, dove oltre alla consegna tardiva, ai consumatori era preclusa la strada del rimborso.
Dal canto suo, il Secondo Procedimento – conclusosi nel 2013 – aveva invece ad oggetto attività promozionali per il servizio “PROMO 4%” (la Promozione), che prevedeva la possibilità di ottenere (a determinate condizioni) un tasso di remunerazione del 4% su somme depositate su varie tipologie di conti correnti postali. In tale contesto, le censure dell’AGCM vertevano sull’incompletezza delle informazioni fornite da Poste circa le numerose condizioni che dovevano essere soddisfatte per poter accedere e mantenere tale tasso di remunerazione nell’ambito della relazione contrattuale tra consumatore e Poste, nonché degli strumenti messi a disposizione dei consumatori per verificare il rispetto di tali condizioni.
Come anticipato, Poste ha promosso inutilmente ricorso avverso i due provvedimenti, articolando numerosi motivi, parzialmente sovrapponibili. Tra i motivi di ricorso comuni, Poste ha lamentato (i) l’errata censura di incompletezza mossa dall’AGCM ai messaggi promozionali, nella misura in cui essi risulterebbero “fisiologicamente” incompleti, poiché il loro proprium sarebbe l’avvicinamento della clientela, e non quello di contenere tutti i dettagli precisi delle singole offerte (potendosi fare riferimento ad ulteriori fonti integrative del messaggio quali rinvii a pagine internet dedicate); nonché (ii) la mancata considerazione da parte dell’AGCM dell’esiguità del numero di segnalazioni pervenute dai consumatori.
Quanto ad (i), il TAR Lazio prima, e il CdS poi hanno chiarito che sebbene non possa pretendersi che i messaggi pubblicitari veicolino nel dettaglio tutte le informazioni contrattuali rilevanti – potendosi dunque fare riferimento anche ad ulteriori fonti integrative – essi, tuttavia, non possono omettere informazioni così rilevanti da essere da sole in grado di falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio, secondo il ben noto effetto c.d. “aggancio”. In presenza di tali omissioni, dunque, l’eventuale possibilità per il consumatore di ottenere successivamente tutte le informazioni rilevanti non può sanare le omissioni iniziali, atteso che il messaggio promozionale “…[a]ttraverso il suo contenuto non trasparente, determinato dalle modalità di presentazione della promozione, risult[a] […] già idoneo ad agganciare il consumatore al primo contatto….”.
Quanto a (ii), invece, per giurisprudenza costante sia il TAR Lazio, sia il CdS hanno ribadito come la natura di illecito di pericolo delle pratiche commerciali scorrette sanzionate dal Codice del Consumo non richieda l’accertamento di un gran numero di segnalazioni pervenute all’AGCM.
Nulla di specifico, invece, veniva addotto con riguardo (i) all’asseritamente errato bilanciamento operato dall’AGCM tra completezza del messaggio promozionale e limiti di spazio degli annunci, e (ii) all’inidoneità delle omissioni censurate ad indurre in errore i consumatori medi nel caso concreto. Tali doglianze, infatti, venivano articolate da Poste per la prima volta con le memorie di replica depositate in primo grado. A tal riguardo il CdS ha sottolineato come tali doglianze, ancorché in generale afferenti al tema relativo all’ingannevolezza o meno del messaggio pubblicitario, non erano riconducibili a specifiche censure presenti già nel ricorso introduttivo. Sicché si era in presenza di vizi-motivi nuovi proposti tardivamente, e dunque inammissibili.
Le Sentenze appaiono di particolare interesse, posto che ribadiscono l’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale che pone notevole enfasi sulle informazioni che i professionisti – nelle loro attività promozionali – devono fornire ai consumatori al fine di permettere a questi ultimi di assumere decisioni commerciali pienamente consapevoli.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Legal News / FLASH – La Commissione europea e il Regno Unito hanno concluso le negoziazioni per un accordo di cooperazione tra autorità della concorrenza
Lo scorso 29 ottobre, la Commissione europea (la Commissione) e il Regno Unito hanno reso noto di aver concluso le negoziazioni per un accordo (l’Accordo) volto a regolare la cooperazione diretta in tema di indagini antitrust tra la Commissione, le autorità nazionali della concorrenza degli Stati Membri dell’UE (le ANC) e la Competition and Markets Authority del Regno Unito (CMA).
L’Accordo viene accolto con favore in quanto, a seguito della Brexit, la CMA è stata costretta ad abbandonare l’European Competition Network (ECN), ossia la sede istituzionale di confronto tra le ANC per un’applicazione uniforme del diritto europeo della concorrenza, e si inserisce nel novero degli accordi supplementari al EU-UK Trade and Cooperation Agreement, ossia l’accordo quadro stipulato nel 2020 tra Unione Europea e Regno Unito per garantire un livello di integrazione post-Brexit tra le rispettive economie ispirato a condizioni di parità e di rispetto dei diritti fondamentali.
L’Accordo, le cui negoziazioni sono iniziate nel giugno 2023 e la cui ratifica è attesa nel 2025, risulta essere per il momento unico nel suo genere in quanto, a differenza di accordi similari conclusi dalla Commissione con altre autorità della concorrenza (ad esempio, negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone), le sue disposizioni sono direttamente applicabili anche alle ANC.
L’Accordo prevede importanti strumenti di comunicazione reciproca dei casi antitrust e delle concentrazioni più rilevanti, nonché disposizioni di coordinamento nello svolgimento delle istruttorie e principi condivisi per evitare conflitti giurisdizionali. Tuttavia, questo non replicherà l’elevato livello di cooperazione che si realizza nel contesto dell’ECN. Infatti, ai sensi dell’Accordo, la condivisione tra autorità di informazioni di natura confidenziale fornite da un’impresa coinvolta in un procedimento richiederà in ogni caso il previo ottenimento del consenso dell’impresa stessa (c.d. waiver), non richiesto invece nel contesto cooperativo istituito dall’ECN.
Niccolò Antoniazzi
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Appalti, concessioni, regolazione / Ultimi aggiornamenti al Codice dei contratti pubblici – il Governo approva i primi “correttivi” al nuovo codice appalti
Lo scorso 21 ottobre, il Consiglio dei Ministri (il Governo) ha approvato un pacchetto di modifiche (la Modifica) al nuovo Codice dei contratti pubblici (il Codice), che va a toccare numerosi aspetti della disciplina. Alcuni hanno particolare interesse.
In tema di partenariato pubblico-privato, uno degli istituti maggiormente incisi dalla Modifica è quello della finanza di progetto. Qui il Governo ha ritenuto che la previgente disciplina non fosse allineata con i principi di trasparenza e concorrenza che informano l’intero Codice.
Pertanto, il Governo ha di fatto riscritto gli aspetti procedurali dell’istituto. In primo luogo, la Modifica introduce una fase preliminare, in cui l’operatore economico può manifestare il proprio interesse a presentare un progetto, ottenendo dall’amministrazione informazioni e dati sulla base dei quali andrà a formulare la proposta concreta. Una volta ricevuta la proposta, l’amministrazione avrà l’obbligo di aprire (già in questa fase) una procedura competitiva tramite pubblicazione, in modo tale che altri operatori economici possano intervenire con le proprie proposte di progetto. Il progetto ritenuto migliore sarà quello posto a base della (seconda) gara. L’operatore così selezionato acquisirà il ruolo di proponente, con i relativi diritti di prelazione tipici dell’istituto.
Per quanto riguarda invece la fase di esecuzione, il Governo è intervenuto su due temi importanti.
In primo luogo, la Modifica va ad incidere sulla disciplina della revisione dei prezzi. Come noto, le stazioni appaltanti erano già gravate da un obbligo di stipulare specifiche clausole di revisione del prezzo finalizzate al mantenimento dell’equilibrio contrattuale. Fino ad ora, le amministrazioni dovevano determinare le clausole sulla base di indici ISTAT. Secondo il Governo, tuttavia, il Codice non garantiva sufficiente omogeneità.
Al fine di rendere la revisione dei prezzi correlata a situazioni certe e aderenti alle esigenze concrete, il Governo ha deciso di assegnare la determinazione degli indici al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che, sentito l’ISTAT, interviene con decreto. Gli indici saranno in particolare legati a “tipologie omogenee di lavorazioni”, vale a dire categorie specifiche di prestazioni, che dovrebbero assicurare in ultima analisi una maggiore specificità delle clausole.
In secondo luogo, un’altra delle finalità della Modifica è quella di promuovere il risultato e l’efficienza degli operatori economici impegnati nell’esecuzione. Per fare ciò, la Modifica va a riformare la disciplina delle penali e dei premi.
Da un lato, la forbice entro cui l’amministrazione deve calcolare le penali si allarga: se fino ad ora il range si estendeva dallo 0,3% all’1% del valore dell’appalto per ogni giorno di inadempimento, la Modifica va ad applicare una maggiore penale, ricompresa fra lo 0,5% e l’1,5%. Dall’altro lato, la Modifica intende incentivare gli operatori economici virtuosi, rendendo obbligatoria l’introduzione di meccanismi premiali nel contratto eseguito rapidamente e a regola d’arte. Fino ad oggi, era l’amministrazione a decidere se adottare o meno tali clausole premiali.
Infine, in tema di aggiudicazioni, la Modifica intende armonizzare la disciplina dei contratti pubblici con quella relativa all’equo compenso dovuto per le prestazioni professionali. Come noto, la Legge 21 aprile 2023, n. 49 ha introdotto l’obbligo di corrispondere al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, che corrisponda a certi parametri fissati ex lege. Tale disciplina si pone in frizione con la necessità concorrenziale degli operatori economici di effettuare offerte al ribasso sul valore dell’appalto come quantificato dall’amministrazione.
A seguito della Modifica, tali ribassi saranno possibili solamente entro limiti precisi. In particolare, nei contratti che hanno ad oggetto i servizi di ingegneria e architettura e le altre prestazioni intellettuali il cui valore totale supera la soglia dei 140.000 euro, le amministrazioni avranno l’obbligo di calcolare l’importo da porre a base di gara tenendo in considerazione i criteri fissati dalla legge per il calcolo dei compensi professionali. In sede di gara, solo il 35% del valore complessivo dell’appalto sarà poi suscettibile di ribasso. In caso di affidamenti diretti, invece, i compensi individuati dalla legge sono garantiti nella misura dell’80%.
Massimiliano Gelmi
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